Tropico Mediterraneo: viaggio in un mare che cambia
;Il nuovo libro di Stefano Liberti racconta in un viaggio i cambiamenti epocali che il Mar Mediterraneo sta subendo per effetto della crisi climatica
Stefano Liberti, giornalista e autore di “Tropico Mediterraneo”. Foto di Francesco Bellina, sulla nave di monitoraggio dell’Ong Archipelagos, Mare Egeo
Il Mediterraneo è un vero e proprio scrigno di biodiversità: rappresenta solo lo 0,7% della superficie totale delle acque salate terrestri ma ospita il 7,5% dell’intera fauna marina. Oggi però sta subendo trasformazioni epocali a causa del cambiamento climatico.
È ormai noto che l’area mediterranea è un hotspot della crisi climatica e che qui gli effetti del riscaldamento globale sono enormemente amplificati. Ma non è altrettanto noto che cosa stia succedendo all’interno di questo mare, alla massa di acqua che così tanto influenza il nostro clima, la nostra cultura e la nostra identità.
Nella puntata del 27 novembre de Il Giusto Clima (Radio Popolare) abbiamo intervistato Stefano Liberti, giornalista ambientale e filmmaker e autore di Tropico Mediterraneo. Viaggio in un mare che cambia, edito da Laterza.
La prima cosa che si vede aprendo il tuo libro è una cartina geografica dei posti che hai visitato: da Gibilterra a Cipro, dalle isole Kerkennah in Tunisia al Delta del Po. Ci racconti come nasce questo reportage?
Certo. Si dice sempre che l’area mediterranea è un hotspot climatico, ma che cosa sta succedendo effettivamente al nostro mare, alle sue acque?
Partendo da questa suggestione, ho deciso di viaggiare lungo il bacino Mediterraneo, incontrando le persone che vivono sul mare: pescatori, biologi marini, sub.
È stato un viaggio molto interessante perché mi ha mostrato che non solo il Mediterraneo – come sappiamo bene – ha un ruolo essenziale nella regolazione del clima (e lo abbiamo visto anche con le ultime grandi e tragiche alluvioni in Spagna e quelli precedenti in Emilia-Romagna), ma sta cambiando radicalmente nelle sue acque: c’è una trasformazione sconvolgente dell’ecosistema marino.
Nel mio viaggio ho cercato di interrogare le persone che vivono a ridosso del mare per capire come questi grandi cambiamenti che stanno avvenendo impattano sulle loro vite e sulla loro esistenza.
E che cosa hai visto?
Viaggiando ho interagito molto con i pescatori, che sono le vere sentinelle ambientali del mare perché sono gli unici che ci stanno tutti i giorni e vedono questi repentini cambiamenti, intercettandoli per primi.
Io porto spesso l’esempio delle isole Kerkennah in Tunisia che sono forse il luogo più emblematico di questa grande trasformazione.
Innanzitutto perché sono molto basse – il punto più alto sopra il livello del mare è di 12 metri: queste isole stanno letteralmente sprofondando nel Mar Mediterraneo, esattamente come gli atolli del Pacifico.
In secondo luogo, alle Kerkennah per secoli i pescatori hanno vissuto benissimo perché sono delle acque ricchissime di pesce, una delle zone di maggiore riproduzione della fauna marina del Mediterraneo. Ma da qualche anno è arrivata una specie aliena, un granchio blu simile a quello che abbiamo nel Delta del Po, che sta distruggendo l’ecosistema marino perché è molto vorace, tanto che i tunisini l’hanno chiamato Daesh.
Non potendo più pescare, gli abitanti delle Kerkennah hanno cominciato a vendere le proprie barche agli scafisti, a coloro i quali organizzano le traversate verso l’Europa.
Da luogo mitico di una pesca ricca e sostenibile, le isole Kerkennah sono diventate luoghi di partenza per i tunisini che vanno verso l’Europa. Si è creata una vera e propria frattura generazionale: non ci sono più i giovani, sono partiti tutti.
Questo che cosa ci racconta? Che da una crisi ambientale – dall’arrivo di questo granchio dall’Oceano Indiano a causa di un Mar Mediterraneo sempre più caldo e sovrapescato – si è innescata una crisi sociale, generando povertà e disagio.
Non parliamo di un fenomeno futuro, ma di qualcosa che si è già verificato: il livello del mare si sta già innalzando e le persone si spostano dalla riva sud del Mediterraneo alla riva nord perché le condizioni del loro ambiente non consentono più loro di vivere adeguatamente: veri e propri migranti ambientali.
Cosa sta succedendo alla fauna marina del Mediterraneo?
Nel Mediterraneo oggi ci sono almeno 800 specie aliene, ovvero che vengono da areali diversi da quelli del Mediterraneo, 600 delle quali sono installate in modo stabile.
Noi conosciamo bene il granchio blu dell’Oceano Atlantico che è arrivato tramite le acque di zavorra delle navi cargo e che poi si è installato nel Delta del Po, ma ce ne sono decine di altre.
Io ne ho viste moltissime nella parte orientale del bacino Mediterraneo, che è più calda ed è più vicina al Canale di Suez, una delle autostrade per l’arrivo di queste specie aliene.
Andando in mare con i pescatori dell’isola di Cipro, per esempio, ho visto come in quelle acque ormai ci sono quasi soltanto specie alloctone, cioè che vengono dall’Oceano Indiano: pesci scorpione, pesci luna, pesci palla maculati.
Insomma, quelle acque stanno attraversando una profonda trasformazione, che sta facendo sparire le specie endemiche – spigole, orate, calamari – portando un grande danno ai pescatori e ai consumatori di pesce e trasformando l’ecosistema nel profondo.
Da alcuni decenni nel Mediterraneo è arrivato il pesce coniglio che è erbivoro ma ha letteralmente desertificato tutto il fondale della zona est del Mediterraneo: Grecia, Cipro, Libano. È in corso una vera e propria deforestazione che si può paragonare a quella della foresta amazzonica: stanno scomparendo le alghe in fondo al mare, che hanno la stessa funzione delle piante e degli alberi, cioè assorbono anidride carbonica e producono ossigeno. Solo che questo tipo di deforestazione ovviamente è meno visibile e suscita meno clamore rispetto a quella sulla terra.
La crisi del Mediterraneo è enorme e merita di essere raccontata e soprattutto necessita di immaginare delle soluzioni a medio termine per evitare che il nostro mare diventi un lago salato povero di vita e abitato esclusivamente da specie aliene.