Per l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) è ormai chiaro che l’era dei combustibili fossili è giunta al termine. Ma gli sforzi non bastano, per il World Energy Outlook 2022 bisogna raggiungere 4 mila miliardi di investimenti l’anno in energie pulite entro il 2030 per scongiurare l’aumento di 1,5°C.
Il ritmo di abbandono delle fonti fossili è ancora troppo lento, ma l’era del petrolio, del carbone e del gas è finita. Le emissioni di CO2 legate al loro consumo raggiungeranno il picco nel 2025 grazie al calo sempre più forte della domanda. Lo riporta il World Energy Outlook 2022, il report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) che annualmente scatta una fotografia della situazione energetica mondiale. La crisi energetica mondiale senza precedenti scatenata dall’invasione dell’Ucraina non sta facendo che accelerare la fine del gas naturale. Le esportazioni russe di combustibili fossili non torneranno mai ai livelli del 2021 secondo tutti gli scenari dell’IEA. Da una quota mondiale del 20%, nel 2030 la Russia coprirà un 13% dell’energia scambiata nel mondo.
Pil e consumo di fonti fossili si slegano
La crisi energetica provocherà nel breve periodo una crescita della domanda di petrolio e carbone, come alternative al gas. Ma nel lungo periodo le rinnovabili, e in alcuni casi il nucleare, sostituiranno gradualmente tutte le fonti fossili, portando le emissioni globali a raggiungere il picco nel 2025 per poi calare. La prima fonte fossile ad essere abbandonata sarà il carbone, la cui domanda inizierà a calare nei prossimi anni, seguito dal gas che raggiungerà il picco alla fine degli anni ’20, e dal petrolio verso la metà del prossimo decennio. Dall’80% attuale, la quota di combustibili fossili nel mix energetico giungerà quindi al 60% alla metà del secolo. Finalmente si invertirà la tendenza storica che vede l’aumento del Pil andare di pari passo con l’aumento del consumo di combustibili fossili: una svolta cruciale nella storia dell’umanità.
Il costo della crisi energetica nel mondo ricade sui più poveri
Gli elevati prezzi energetici stanno tuttavia causando un enorme trasferimento di ricchezza dai consumatori ai produttori, una situazione senza precedenti per il gas naturale, responsabile per più del 50% dell’aumento dei prezzi di elettricità nel mondo. Il costo dell’aumento delle bollette nei paesi ricchi ricade sulle famiglie più povere, nelle quali una quota maggiore del reddito viene spesa per l’energia. Ma nei paesi in via di sviluppo la situazione è ben più grave e la povertà energetica è aumentata per la prima volta da un decennio: circa 75 milioni di persone che avevano iniziato di recente ad avere finalmente accesso all’elettricità rischiano di non riuscire più a pagarla e 100 milioni di persone potrebbero tornare all’uso di carbone e legna per cucinare.
Si stima un aumento di almeno 2,5°C al 2100
Il graduale abbondono delle fonti fossili è ormai chiaro ma ancora troppo lento e gli sforzi da fare nelle politiche climatiche sono molti di più. Con l’attuale tendenza, l’aumento della temperatura media globale sarà di 2,5°C al 2100 (e secondo il recente rapporto Emissions Gap Report dell’UNEP si giungerebbe addirittura a 2,8°C), ben al di là del grado e mezzo, soglia che non dovremmo superare per evitare i peggiori effetti dei cambiamenti climatici e rispettare l’Accordo di Parigi.
Gli investimenti devono aumentare
Analizzando gli aggiornamenti legislativi più recenti a livello mondiale per la crescita del settore delle rinnovabili e l’abbondono delle fonti fossili, l’IEA stima che gli investimenti globali in energie pulite supereranno i 2 mila miliardi di dollari all’anno entro il 2030, un aumento di oltre il 50% rispetto ad oggi. Anche qui, bisogna fare molto di più: per evitare il superamento della soglia di 1,5°C e quindi arrivare e emissioni nette zero al 2050, gli investimenti dovrebbero superare i 4 mila miliardi di dollari entro la fine del decennio.
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