In Sottocorteccia lo sguardo scientifico e quello antropologico si fondono in un’esplorazione del rapporto tra umano e ecosistema nelle foreste dove imperversa il bostrico
Dopo che la tempesta Vaia ha abbattuto milioni di alberi nel 2018, il bostrico si è accanito sulle foreste già indebolite del nord Italia. Piano piano, rafforzato anche dall’aumento delle temperature, questo coleottero sta facendo dei danni anche peggiori di quelli di Vaia.
Non si parla molto di questo dramma silenzioso, che è l’oggetto di Sottocorteccia, libro edito da People. Gli autori, l’antropologo e divulgatore Pietro Lacasella e il giornalista e forestale Luigi Torreggiani, hanno unito i loro sguardi per raccontare un’esplorazione nei territori colpiti.
Riflessioni sulla storia degli ecosistemi alpini si intrecciano ad incontri fortuiti con abitanti locali in un reportage che mostra vividamente la connessione tra il riscaldamento globale e le storie economiche, ambientali e umane locali. Sottocorteccia, già alla seconda ristampa, è una preziosa testimonianza degli effetti molto concreti della crisi climatica nel nord Italia: non solo ambientali, ma anche sociali, economici e antropologici.
La piccola magia compiuta dagli autori è un racconto romanzato di un viaggio e della loro nuova amicizia senza rinunciare al rigore scientifico e alla complessità.
Per Il giusto clima, abbiamo intervistato Pietro Lacasella (ascolta l’intervista audio).
Pietro, il protagonista di Sottocorteccia è il bostrico, un coleottero che fa parte degli ecosistemi delle nostre foreste, e che però ora le sta devastando. Che cosa sta succedendo?
Il bostrico è un microscopico coleottero, grande all’incirca come un chicco di riso, ed è una specie endemica delle nostre foreste. Questo insetto trova nelle piante deboli o danneggiate l’ambiente ideale dove svilupparsi. Il problema è che a causa dei cambiamenti climatici queste piante sono sempre più numerose. In primo luogo per via degli eventi estremi, primo fra tutti la tempesta Vaia, che nel 2018 ha abbattuto milioni di alberi nel Triveneto. E, in secondo luogo, a causa dell’aumento delle temperature, che indebolisce gli abeti rossi – la pianta prediletta dal bostrico. Con un clima più caldo, inoltre, questo coleottero riesce ad accelerare il suo ciclo riproduttivo espandendosi a ritmi più serrati. Ed è esattamente questo quello che sta succedendo a vastissime aree forestali del nord Italia.
Nel libro parlate spesso di complessità, ripetendo che quando si parla di foreste è importante non fare semplificazioni. Come mai insistete molto su questo?
Perché spesso nella società contemporanea si tende a semplificare in maniera eccessiva, generando delle false credenze. Ti faccio un esempio, legato alle nostre foreste. Spesso e volentieri quando si parla di bostrico nella discussione pubblica si tende a puntare il dito contro le monocolture di abete rosso, che caratterizzano molti territori, soprattutto delle Alpi orientali.
Questi ecosistemi monospecifici contribuiscono a ridurre la biodiversità, rendendo le piante meno resilienti agli eventi estremi. Ma dietro alle decisioni che hanno portato alla creazione di boschi di questo tipo non c’è stata nessuna multinazionale o “potere forte”.
Questi boschi sono il frutto di scelte fatte nei secoli dai forestali per ricavare maggiore ricchezza, prediligendo ad esempio l’abete rosso, caratterizzato da un legno polifunzionale e remunerativo. La creazione di foreste monospecifiche come quelle di abete rosso è stata per lungo tempo un modo per porre freno alla piaga dello spopolamento di diversi territori, in tempi in cui non si parlava ancora di cambiamento climatico.
Per cui oggi è giusto puntare il dito contro quelle “monocolture”, che sappiamo aver contribuito a una maggiore debolezza degli ecosistemi. Ma senza cadere in semplificazioni e tenendo presente la storia e la ragioni che ci hanno portati ai problemi attuali.
A proposito di credenze e semplificazioni, nel libro a un certo punto incontrate il “paron” (il padrone in dialetto) di una malga che, commentando la devastazione dovuta al bostrico, ne parla infuriato come di una “bestia che arriva da chissà dove”. Di fronte alla complessità dei fenomeni ambientali, è facile che prevalgano false credenze, disinformazione e fake news che banalizzano i discorsi e a volte cedono a tendenze xenofobe. Come dobbiamo comportarci di fronte al dilagare di questo fenomeno?
Ovviamente i messaggi semplici sono quelli più facili da accogliere a livello sociale. Abbiamo già citato la complessità, che ci è molto cara anche in questo libro. Ecco, la complessità è più difficile da digerire. Secondo me l’importante compito dei divulgatori, dei politici e degli accademici che vogliono portare la complessità all’interno del discorso pubblico è quello di imparare a semplificare il linguaggio senza semplificare però il contenuto.
Spesso, i messaggi scientifici fanno fatica a superare le mura delle accademie perché il linguaggio è estremamente complesso. Allora è fondamentale fare questo sforzo di semplificazione, però senza ridurre il tutto a dei banali slogan.
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