Giallo ambientato nella torrida e gentrificata Milano del 2045, Prima della rivolta unisce i topoi tradizionali del noir al fascino della distopia, o meglio, del romanzo di anticipazione
Una torrida e gentrificata Milano nel 2045 è lo scenario in cui Michele Turazzi, agente letterario e ghostwriter classe 1986, ha ambientato il giallo Prima della rivolta (Nottetempo 2023). Seguendo i topoi più tradizionali dei classici noir, il romanzo sviluppa una storia di investigazione di un omicidio immaginando uno scenario che sembra l’opposto delle visioni solar punk: tra 20-25 anni, la città resa invivibile dal cambiamento climatico è stata abbandonata dai più ricchi, arroccati nei loro chalet di montagna in alta quota, che tornano alla bisogna nei loro lussuosi immobili nelle zone più esclusive e verdi della metropoli. Eccetto queste piccole oasi di freschezza e privilegio, la città è diventata una grande isola di calore e di cemento, nella quale l’unico elemento ancora vivo sembrano essere i lavoratori più emarginati che si affannano per sbarcare il lunario ed ottenere un permesso di soggiorno per scappare dalle zone ormai allagate della penisola, in un ambiente in cui precarietà e diseguaglianze hanno raggiunto l’apice, appunto, “prima della rivolta”.
Un giallo dal ritmo incalzante che racconta un futuro di crisi climatica, polarizzazione sociale, iniquità, migrazione, che disorienta perché assomiglia tremendamente a una versione estremizzata della realtà e coinvolge perché unisce gli schemi narrativi classici del giallo allo scenario di un avvenire che speriamo di scongiurare.
Quanto è realistica secondo te l’ambientazione in qualche modo distopica che hai immaginato della Milano del 2045?
Il romanzo propone uno scenario per certi versi distopico, nel senso di “non positivo”, ma ho cercato di renderlo il più aderente possibile alla realtà, quindi di costruire una storia di anticipazione, più che una distopia. Ovviamente qualche elemento l’ho un po’ estremizzato rispetto a quello che ci possiamo davvero aspettare da qui a 25 anni, ma neanche così tanto. Il problema della gentrificazione ambientale esiste già a Milano, e se la politica non sceglie di intervenire in maniera netta e chiara nell’immediato rischia di peggiorare sempre di più, creando una città ancora più esclusiva e repulsiva per tutta una fascia di popolazione.
Fino ad oggi abbiamo visto come i progetti di riqualificazione urbana siano sempre ammantati di una patina green – comprendono un parco, edifici a basso consumo energetico, zone pedonali – ma hanno come esito finale la gentrificazione dello spazio, sia a Milano che nelle altre metropoli occidentali. Quindi assistiamo a un aumento incontrollato dei prezzi, all’espulsione degli abitanti e alla loro sostituzione con un ceto differente da quello di partenza, e spesso si tratta di una sostituzione anche di tipo etnico.
Nel libro parlo dello Scalo Farini, progetto che nel momento in cui la storia si svolge è stato portato a compimento: è diventato un grande parco urbano, che serve ad abbassare la temperatura crescente della città, ma che è disseminato di torri e grattacieli dai prezzi schizzati alle stelle, con conseguente sostituzione delle persone che ci vivevano precedentemente.
In definitiva, la città che ho immaginato è la Milano che avremo se nessuno darà il via a manovre correttive abbastanza importanti per quanto riguarda l’abitare e il diritto alla casa, se il mercato verrà lasciato totalmente libero e incontrollato, se la popolazione non si unirà in comitati per contrastare determinate dinamiche, e così via.
Prima della rivolta è ambientato in una Milano in cui a causa della crisi climatica ormai non si viaggia più, si mangiano insetti fritti, si beve ancora birra, si mangia pesce, ma non più carne… In che modo hai creato questo scenario, anche in termini di abitudini quotidiane: sei è andato di fantasia o hai fatto delle ricerche per capire in che modo cambieranno anche i nostri consumi?
Paradossalmente quando si immagina una storia ambientata in un futuro prossimo è quasi più semplice pensare al macro contesto che al micro. Io ho cercato di creare un futuro molto vicino al nostro, in cui le persone fanno o vogliono fare più o meno le stesse cose nostre. Poi ovviamente ho lavorato un po’ di fantasia sui piccoli cambiamenti che ci saranno: mi sono figurato appunto un mondo in cui non si mangia più carne o comunque poca, la mangiano quasi solo le persone più anziane. Ho immaginato un mondo in cui la consapevolezza climatica è molto più forte rispetto alla nostra perché gli effetti del riscaldamento globale sono drammaticamente visibili. Di conseguenza tutte quelle piccole azioni quotidiane che possono contribuire a non aggravare l’emergenza vengono fatte dalla popolazione. Nel complesso è stato un po’ un mix tra immaginazione e letture, studi e suggestioni che ho avuto nel tempo.
Nel 2016 usciva il saggio La grande cecità in cui il romanziere indiano Amitav Ghosh sosteneva che gli scrittori contemporanei si fossero scontrati con un fallimento immaginativo perché nessuno inseriva nelle storie il contesto della crisi climatica. I pochi che lo facevano venivano subito relegati nell’ambito della fantascienza insieme agli UFO e ai viaggi interplanetari. Secondo te le cose da allora sono cambiate?
A mio avviso un po’ sì: oggi c’è molta più consapevolezza sul cambiamento climatico e di conseguenza alcuni scrittori stanno cercando di approcciarvisi, con esiti diversi ma con più coraggio e attenzione rispetto a un tempo. Eppure, in determinati mercati editoriali, tra cui quello italiano, c’è ancora tanta ritrosia nei confronti di storie che non siano immediatamente percepibili come “private”, soprattutto vicende borghesi e famigliari, oppure rigidamente incanalate nei generi. Questo anche perché il pubblico di lettori in Italia è abbastanza anziano, e molti editori guardano con tanto, troppo interesse a storie rassicuranti o rivolte al passato. D’altro canto, è anche vero che, essendo il tema dell’emergenza climatica così onnicomprensivo, il classico iperoggetto, non è semplice trovare una chiave efficace per raccontarlo. Il rischio da evitare per un romanziere è quello di creare dei romanzi a tesi, e bisogna quindi stare molto attenti al modo in cui lo si inserisce nella storia.
Intervista di Marianna Usuelli
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