Tempeste, incendi, ondate di calore. Il paese e il mondo intero sono alle prese con gli effetti devastanti della crisi climatica ma i giornalisti italiani parlano di “maltempo”: la lettera aperta di 100 scienziati ai media
Cento scienziati hanno firmato la lettera aperta ai media italiani, pubblicata giovedì 27 luglio 2023, che invita i giornalisti a parlare delle cause della crisi climatica e delle sue soluzioni: “Omettere queste informazioni condanna le persone al senso di impotenza, proprio nel momento storico in cui è ancora possibile costruire un futuro migliore”. Dal fisico premio Nobel Giorgio Parisi al climatologo Luca Mercalli, sono diverse le personalità di spicco firmatarie dell’appello, tra cui anche alcuni soci di ènostra: i docenti del Politecnico di Milano Stefano Caserini e Mario Motta, il professore dell’Università di Roma 2 Tor Vergata Leonardo Becchetti, nonché il socio fondatore e ricercatore presso l’Università dell’Insubria Gianluca Ruggieri.
Di fronte agli eventi estremi che il nostro paese sta affrontando in queste settimane, dagli incendi in Sicilia alle tempeste nel Nord Italia, “i media italiani parlano ancora troppo spesso di ‘maltempo’ invece che di cambiamento climatico. Quando ne parlano, spesso omettono le cause e le relative soluzioni”, si legge nella lettera aperta, “È come se nella primavera del 2020 i telegiornali avessero parlato solo di ricoverati o morti per problemi respiratori senza parlare della loro causa, cioè del virus SARS-CoV-2“.
Secondo la Nasa, il mese di giugno è stato il più caldo da migliaia di anni, e probabilmente anche luglio 2023 batterà tutti i record. Gli oceani non hanno mai registrato temperature così alte, anche a causa del ritorno del Niño. Citando gli oltre 50 gradi toccati in alcune zone degli Stati Uniti e della Cina, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha avvertito che le temperature estreme “che hanno colpito il mondo questa settimana sono la nuova normalità in un pianeta riscaldato dal cambiamento climatico”.
In tutto questo, i media italiani continuano a dare scarsa visibilità alla crisi climatica, facendo inoltre da “megafono ad argomentazioni contro la transizione energetica e le azioni per mitigare il riscaldamento globale”, come ha scritto Greenpeace commentando lo studio recente dell’Osservatorio di Pavia. I giornalisti sembrano adattarsi alla posizione adottata dalla politica, che considera la questione del cambiamento climatico come se ne esistessero solo gli effetti. La nuova bozza del PNIEC consegnata di recente alla Commissione europea non contiene nessuna strategia chiara di uscita dalle fonti fossili, denuncia il think tank ECCO Climate. E, addirittura, ospite a Sky TG24, il ministro per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica Pichetto Fratin non si dice sicuro che la responsabilità del cambiamento climatico sia dell’uomo e in particolare delle emissioni di combustili fossili.
Per l’IPCC è chiaro da tempo quali siano le cause del cambiamento climatico – le emissioni di gas serra prodotte dai combustibili fossili – e le soluzioni prioritarie – la rapida eliminazione dell’uso di carbone, petrolio e gas, e la decarbonizzazione attraverso le energie rinnovabili.
I cento scienziati firmatari della lettera fanno allora appello alla responsabilità dei membri della comunità scientifica di avvertire chiaramente di ogni minaccia alla salute pubblica e al dovere dei giornalisti di difendere il diritto all’informazione e diffondere notizie scientifiche verificate.
“Non parlare delle cause dei sempre più frequenti e intensi eventi estremi che interessano il nostro pianeta e non spiegare le soluzioni per una risposta efficace rischia di alimentare l’inazione, la rassegnazione o la negazione della realtà, traducendosi in un aumento dei rischi per le nostre famiglie e le nostre comunità, specialmente quelle più svantaggiate”, si legge nella lettera aperta, che chiude così: “Siamo ancora in tempo per scegliere un futuro sostenibile che metta al primo posto la sicurezza, la salute e il benessere delle persone, come previsto dagli obiettivi europei di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 e di neutralità climatica al 2050. Possiamo farlo anche grazie a una corretta comunicazione e alla cooperazione tra noi tutti”.
di Marianna Usuelli
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