A distanza di sole due settimane, due alluvioni che solitamente si verificano ogni 100-200 anni nella stessa regione: non si può parlare ancora di maltempo, è crisi climatica.
Dopo sole due settimane dalla scorsa alluvione di inizio maggio, l’Emilia Romagna è di nuovo in preda a un evento estremo che normalmente ha tempi di ritorno tra i 100 e i 200 anni. Normalmente. Sì, perché in tempi di crisi climatica quella normalità è difficile intravederla. Cesena, Ravenna, Forlì, Bologna, Faenza, Rimini, Riccione: tutti i fiumi sono esondati e la mappa del territorio colpito è molto più ampia di due settimane fa.
Almeno 14 morti, trascinati via dall’acqua o dalle frane, oltre 12 mila sfollati, centinaia di strade e treni bloccati. Sono caduti 250 millimetri di pioggia in 36 ore, in alcune zone dell’Emilia Romagna anche 500 (circa mezzo metro di altezza): in due settimane è piovuta oltre la metà dell’acqua che normalmente arriva in un anno.
Ma allora parlare di maltempo sembra un atto di fede, come negare disperatamente un’evidenza che ci sta sbattendo in faccia in maniera sempre più brutale la nostra ostinata inerzia e incapacità di cambiare. Le foto degli anziani terrorizzati salvati dalla protezione civile spezzano il cuore e ci urlano che non sono scene cinematografiche, né scenari da “terzo mondo”, ma la nostra nuova normalità.
Il Mediterraneo è un hotspot climatico, ormai lo sappiamo, si riscalda molto più velocemente del resto del mondo (qui abbiamo già superato i fatidici 1,5 gradi) e tutto il vapore acqueo che sale per il calore prima o poi torna a terra. Il problema è che lo fa tutto insieme, dopo mesi e mesi di siccità e un terreno sempre più arido, sopra il quale l’acqua scivola via perché non riesce ad essere assorbita. Quindi il diluvio dopo la siccità, altra questione che lascia sorpresi in tanti e alla quale invece dobbiamo fare l’abitudine.
In un territorio a forte rischio idrogeologico come quello colpito, avrebbe avuto senso implementare il piano di prevenzione Italia Sicura che era stato elaborato nel 2014 e consisteva in 10 mila interventi per 33 miliardi di euro. L’Agenzia Europea per l’Ambiente nel 2017 l’ha dichiarato addirittura una delle tre best practice della prevenzione in Europa. Ma questo piano non ha mai visto la luce, bloccato poi dal governo Conte uno.
Intanto arrivano notizie sullo Stato del clima globale, l’aggiornamento pubblicato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM). Da qui al 2027 il mondo conoscerà livelli record delle temperature anche a causa del ritorno del Niño, il fenomeno climatico che determina un aumento delle temperature delle correnti dell’Oceano Pacifico. Per l’OMM potremmo superare nei prossimi anni la soglia del 1,5 gradi di aumento della temperatura globale (l’IPCC dice che siamo ancora in tempo per evitarlo). E passare da 1,5 gradi a 2 gradi farà raddoppiare le piogge.
Ora, imputare al cambiamento climatico la responsabilità diretta di singoli eventi estremi è una faccenda complessa, per quanto non ci sia dubbio che la frequenza con cui si verificano aumenta a causa di esso. Sta lavorando a questo il gruppo di scienziati del World Weather Attribution, che ha di recente appurato che l’ondata di calore che si è verificata nel Sud Est asiatico ad aprile sia da attribuire direttamente al riscaldamento globale, che ha reso quel genere di fenomeno 30 volte più probabile.
Forse gli scienziati del World Weather Attribution analizzeranno anche l’alluvione dell’Emilia Romagna e ci diranno se anche in questo caso la causa diretta è il cambiamento climatico. Ma che differenza farebbe? Ci serve davvero questo ulteriore elemento per iniziare a fare qualcosa?
Marianna Usuelli
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