La moratoria agli impianti fotovoltaici e eolici a terra di 18 mesi vuole frenare la speculazione delle multinazionali nei territori. Ma non pone nessun limite al gas
Una moratoria di 18 mesi all’installazione di impianti eolici e fotovoltaici a terra. Il provvedimento approvato dalla nuova Giunta regionale di centrosinistra della Sardegna tenta di porre un freno alla speculazione energetica, in un territorio che è spesso preda delle brame delle grandi utility dell’energia. Motivi paesaggistici, contrasto al “colonialismo energetico”, forme di indipendentismo: per una ragione o per un’altra, lo stop sembra mettere d’accordo tutti i colori politici.
Gli impianti fotovoltaici su superfici, oltre a quelli che alimentano comunità energetiche rinnovabili, rimangono esclusi dalla moratoria. Ma c’è una grande, enorme contraddizione: la limitazione non tocca i progetti di energia fossile. Qual è allora il modello di transizione a cui si sta puntando? Ne abbiamo parlato a Il giusto clima con Lorenzo Tecleme, attivista e giornalista, che ne ha scritto per Materia Rinnovabile.
Lorenzo, ci fai un riassunto delle puntate precedenti per comprendere il contesto in cui questa moratoria è stata approvata?
In Sardegna esiste storicamente una certa opposizione alle rinnovabili: comitati contro l’eolico e il solare e proposte di moratorie risalgono anche a quindici anni fa. Negli ultimi due anni però il fenomeno è esploso fino a diventare trasversale. La moratoria approvata dalla Presidente della Regione Alessandra Todde mette d’accordo il centro-sinistra, il Movimento 5 Stelle e il centro-destra, ma anche l’ampio mondo della società civile: comitati ecologisti, sindacati, Confindustria, stampa locale.
In questo momento sul sito di Terna, si segnalano più di 800 richieste di allaccio per nuovi impianti eolici e solari. È stato calcolato che se venissero effettivamente realizzati tutti, la Sardegna produrrebbe undici volte l’energia elettrica che attualmente consuma.
Richiedere l’allaccio è solo il primo passo di un lungo iter, a cui solitamente solo la metà delle richieste giunge al termine. Inoltre, il consumo di elettricità è destinato ad aumentare con la transizione alle rinnovabili e la conseguente elettrificazione. Quindi è probabile che il rapporto tra energia consumata e energia prodotta non sarà davvero così sbilanciato.
Però l’opposizione alle rinnovabili rimane, e per diverse ragioni: ci sono motivi paesaggistici, di cui si fanno portavoce associazioni come Italia Nostra che in Sardegna hanno trovato particolare mordente; c’è chi contesta l’approccio estrattivista delle multinazionali dell’energia, esclusivamente orientate al profitto a scapito dei territori. E poi c’è il tema dell’esportazione: in una terra storicamente autonomista come la Sardegna, si contesta che venga prodotta così tanta energia solo perché serve al Nord Italia (la regione è esportatrice netta di elettricità).
La moratoria non è ancora legge, ma sembra che lo diventerà presto. Che impatti si possono prevedere per i prossimi mesi?
La proposta di Todde è stata approvata dalla Giunta ma non ancora dal Consiglio, ma è probabile che il Consiglio sia ampiamente favorevole. Todde ha dichiarato che il tempo massimo della moratoria è 18 mesi ma sperano di poter sbloccare la situazione in sei mesi, non appena la Giunta avrà introdotto il nuovo Piano Paesaggistico e la mappa delle aree idonee che delimiterà le zone in cui sarà possibile installare impianti.
Cosa possiamo aspettarci dopo l’approvazione? Primo, l’energia è preminentemente materia nazionale quindi è probabile che il governo la impugni. Secondo, credo possa nascere un momento di confusione nel dibattito pubblico isolano. Sulla moratoria c’è la convergenza di istanze molto diverse: da chi le pale eoliche non le vuole tout court per ragioni estetiche, a chi è favorevole ma vuole che l’energia rimanga sul territorio, a chi le accetterebbe di fronte a ritorni economici, fino al negazionismo e a chi fa esplicitamente campagna per il fossile. Per Todde non sarà banale trovare la quadra che accontenti istanze così variegate, che finora si sono trovate d’accordo sulla moratoria ma hanno idee molto diverse su come attuare la transizione energetica.
La Sardegna aveva la possibilità di diventare un laboratorio all’avanguardia nello sviluppo delle rinnovabili, ma invece con questa moratoria sta decidendo più o meno consapevolmente di puntare alla metanizzazione visto che, nel momento in cui si rinuncerà al carbone, uno stop alle rinnovabili implicherà uno sviluppo del gas. Come siamo arrivati a questo paradosso?
Sicuramente ha agito un insieme di fattori. La lobby del gas è stata molto brava a tutelare i suoi interessi in Sardegna. Parallelamente alle rinnovabili procede in Sardegna una spinta alla metanizzazione di cui però non si parla. Non viene criticata più da nessuno, da sinistra a destra nessuno sembra essere contrario. Dall’altra c’è un evidente fallimento della governance della transizione. La percezione diffusissima in Sardegna è che questo processo non sia democratico e che i sardi non siano mai stati interpellati sul tipo di transizione che desiderano.
La concomitanza di questi fattori potrebbe rallentare le rinnovabili e, purtroppo, la moratoria è destinata a dare un notevole vantaggio competitivo al gas. Inizialmente, i comitati contrari all’eolico avevano presentato una proposta di moratoria che fra le varie cose conteneva anche uno stop al gas. Todde ha stralciato questa parte, e nessuno si sta lamentando di ciò – nemmeno i comitati che pure in teoria chiedevano il blocco della metanizzazione. Questo dà un’idea di come la battaglia contro il fossile sia diventata marginale in Sardegna, abbandonata persino dall’ecologismo.
Infine, mi permetto di esprimere un parere personale. Come già menzionato, sono tante le anime politiche che hanno spinto all’approvazione di questa moratoria. È compito del mondo ecologista dare delle risposte alle legittime contestazioni di chi è preoccupato per la speculazione energetica in Sardegna. Ma credo che invece le motivazioni di tipo esclusivamente paesaggistico non possano che portare a bloccare qualsiasi processo di transizione, anche i modelli più virtuosi, democratici e sociali. E la mia paura è che siano proprio queste motivazioni ad avere la meglio.
L’intervista è andata in onda nella puntata dell’8 maggio de Il giusto clima su Radio Popolare
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