La terza alluvione in 16 mesi: intervista a Fausto Tomei di Arpa Emilia Romagna
;Perché l’alluvione in Romagna ha causato meno danni rispetto a quella dell’anno scorso? C’entrava qualcosa con il ciclone Boris? Come mai le previsioni meteo non riescono a anticipare eventi del genere? L’approfondimento con Fausto Tomei di Arpa Emilia-Romagna
La crisi climatica ha raddoppiato la probabilità che si verificassero livelli di precipitazione così estremi, come quelli di questo settembre in Europa Centrale, legati al ciclone Boris. È la conclusione a cui è giunto lo studio uscito il 25 settembre del World Weather Attribution, centro di ricerca che analizza la responsabilità del riscaldamento globale nell’aumentare la frequenza di alluvioni, siccità, ondate di calore e altri fenomeni climatici estremi.
Le alluvioni della settimana scorsa in Emilia Romagna sono state il risultato dello scontro tra il ciclone Boris e un evento temporalesco più locale. Il tutto ha un minimo comune multiplo, che è il Mar Mediterraneo sempre più caldo, che aumenta la frequenza e la violenza delle tempeste in tutto il continente.
“La probabilità – a statistiche pre 2023 – che si verificasse un evento del genere un anno dopo le alluvioni dell’anno scorso sempre nella stessa zona era prossima allo zero”, afferma Fausto Tomei, modellista agro-meteorologico di Arpa Emilia Romagna.
Fausto Tomei, come si può valutare questo evento estremo sulla base dei dati storici climatici?
Lo scorso 18 settembre sono caduti in sole 48 ore oltre 350 millimetri di pioggia nella stazione di San Cassiano sul Lamone in Romagna: più dei due eventi del maggio 2023 presi singolarmente, avvenuti nella stessa zona.
L’ultimo grande evento di precipitazione era stato nel 1939, in cui erano piovuti 150 millimetri in 24 ore. Dopo il 1939, fino al 2023, non era mai stata superata questa soglia in sole 24 ore.
La settimana scorsa siamo arrivati a 280 millimetri, quasi il doppio rispetto al 1939, provate a immaginare. All’epoca quei 150 millimetri avevano causato in Romagna migliaia di sfollati che vennero trasferiti a Roma a bonificare l’Agro Pontino. Tutto questo per della pioggia molto meno forte della settimana scorsa. In seguito al ’39, solo l’anno scorso si era superato quel record, e in due eventi ravvicinati: prima con 170 millimetri caduti il 2 maggio, poi con 200 millimetri il 16 maggio.
Siamo in una situazione nuova, una nuova normalità, in cui eventi che prima capitavano al massimo una volta al secolo, ora potrebbero avvenire una volta l’anno.
Come mai l’evento della scorsa settimana ha fatto meno danni rispetto a quelli del 2023, se le precipitazioni sono state molto più violente?
La forte differenza rispetto ai due episodi del 2023 è lo stato iniziale del suolo: l’anno scorso abbiamo assistito a due eventi in sequenza, il primo dei quali ha saturato completamente il suolo.
Considerate che all’incirca i primi 100 millimetri d’acqua possono essere assorbiti dal suolo, i successivi 50 possono essere contenuti in bacini di acqua, laghetti artificiali, letti dei torrenti, casse di espansione. Da lì in avanti è tutta acqua che scorre sopra un torrente pieno, che fa riversare milioni di metri cubi di acqua a valle.
L’anno scorso già con la prima alluvione si erano verificati numerosi danni e, al momento del secondo episodio, due settimane dopo, il suolo era già pieno d’acqua e quindi ha iniziato immediatamente a franare e a riempire gli invasi.
Chiaramente è altrettanto importante l’impermeabilizzazione del suolo: è ben diverso se tutta quest’acqua quando piove trova un terreno cementificato o non, ed è anche importante la zona in cui è cementificato o meno. E il punto chiave è che in tutto il secolo scorso le città in Romagna si sono espanse in maniera del tutto incontrollata, spesso in zone di raccoglimento dell’acqua. Ci sono edifici che difficilmente potranno restare lì. Con il clima attuale non sarà possibile mettere in sicurezza tutte le case che sono in quelle zone e bisogna iniziare a ragionare su dove delocalizzare la popolazione che abita lì. Sono zone che vanno rinaturalizzate, restituite ai fiumi per contenere le acque.
Ma è vero, come dice il prof Pileri in un approfondimento su Altreconomia, che a provocare disastri oggi è il consumo di suolo incontrollato e non tanto la violenza delle precipitazioni in sé?
Il consumo di suolo ha un ruolo molto importante. Ma l’analisi del professor Pileri è fuorviante perché per affermare che l’evento alluvionale del settembre appena passato non è stato eccezionale in termini di quantità di pioggia, confronta i dati di precipitazione cumulata in Emilia Romagna su tutto il mese di settembre del 1979 con quello che è avvenuto in soli due giorni in Romagna.
Nel settembre del ’79 in Romagna sono piovuti 100-180 millimetri in tutto il mese, quindi la metà di quello che è caduto in soli due giorni la settimana scorsa. Invece è piovuto di più in Emilia, cosa che fa alzare il dato dell’intera regione. Come dicevo prima, non si è mai verificato in Romagna un evento di precipitazioni analogo, dall’alluvione del 1939 fino all’anno scorso.
C’è un legame tra l’alluvione in Romagna e il ciclone Boris, che ha colpito diversi paesi dell’Europa Centrale nelle ultime settimane?
Sì. Negli ultimi anni il Mar Mediterraneo si è surriscaldato ed è mediamente un grado in più rispetto a vent’anni fa. “Mediamente” significa che in certi momenti dell’anno è ancora più caldo. Per esempio quest’estate il Mar Adriatico è stato più caldo anche di 4 gradi rispetto alla media. Questo calore accumulato dal mare, si traduce in maggiore evaporazione e quindi contenuto di vapore acqueo nell’atmosfera. Tutta energia, equivalente a migliaia di bombe atomiche, che prima o poi viene rilasciata con temporali. Maggiore è il contenuto di vapore d’acqua in atmosfera e maggiore è l’energia dei temporali. I temporali di oggi, rispetto a quelli di 30 anni fa, possono quindi avere il 30-50% di energia in più: ecco che quindi quello che era un semplice temporale autunnale può diventare un’enorme tempesta.
Nell’alluvione del 18 settembre scorso si sono sommati due eventi: una era la coda del ciclone Boris, che stava tornando sul nostro territorio, dopo che era partito dal Mar Adriatico andando verso l’Europa Centrale. In una situazione normale questo evento avrebbe prodotto delle forti precipitazioni autunnali, ma nel bel mezzo dell’evento – nelle tre ore centrali del pomeriggio del 18 settembre – si sono formate delle celle temporalesche che si sono aggiunte alla pioggia che già stava arrivando. Quindi per due o tre ore si è verificata una sorta di flash flood, inserita all’interno dell’evento di coda del ciclone Boris: si sono sommati questi due fenomeni.
I modelli meteorologici attuali sono in grado di prevedere eventi di questo genere?
I modelli di nuova generazione spesso riescono a prevedere questi eventi. Chiaramente per riuscire a simulare fenomeni così localizzati ed estremi devi avere un altissimo dettaglio del passo di calcolo.
Il problema però è che nei modelli in circolazione ci sono forti differenze. Nel caso del 18 settembre scorso, avevamo ad esempio la previsione del centro europeo, che dava livelli di precipitazione più in linea con la media del periodo. Mentre invece il modello Icon, che utilizziamo anche in Arpae, prevedeva bene quello che poi si è verificato.
Il fatto è che erano numeri mai visti prima d’allora. Ai previsori quei numeri sembravano incredibili perché non si erano mai verificati. Provate ad immaginare la difficoltà di un analista che si trova di fronte due possibili scenari, uno con previsioni in linea con il passato e un altro che ti dice: “Guarda che sta per arrivare qualcosa che in vita tua non hai mai visto”. È difficile essere sicuri di fronti a una previsione del genere.
Ha acceso forte polemica la proposta del Ministro della Protezione Civile Musumeci di introdurre l’obbligo a sottoscrivere una polizza contro i rischi naturali per le case. In un contesto come quello dell’Emilia Romagna dove – tra alluvioni e innalzamento del livello del mare – le probabilità che si verifichi un evento estremo sono sempre più alte a causa del cambiamento climatico e quindi il costo delle polizze aumenta conseguentemente, è una strada effettivamente percorribile quella delle assicurazioni?
Al di là dell’incoerenza del governo, che da un lato ammette che eventi estremi di questo genere stiano diventando la normalità, ma dall’altro non accetta la realtà del cambiamento climatico e le sue cause, non trovo del tutto insensata l’idea delle assicurazioni. Ma è una strada difficilmente percorribile. La popolazione dei luoghi più a rischio si troverebbe a pagare assicurazioni altissime e le loro case diventerebbero invendibili, dopo i danni dalle alluvioni e i costi da sostenere per le polizze.
L’unica alternativa è cominciare a ragionare con le persone che vivono nelle aree più a rischio su dove trasferirle. Prevenire i danni delle alluvioni è molto più semplice e costa molto meno che curare in seguito la ferita.
Puoi ascoltare il podcast di questa intervista nella puntata de Il Giusto Clima del 25 settembre, disponibile sul sito di Radio Popolare, qui (minuto 31).