Considerata utopia o provocazione vent’anni fa, oggi la decrescita ha trovato un suo spazio nel dibattito politico, anche presso le istituzioni europee. Federico Demaria, coautore di Che cosa è la descrescita oggi, racconta come si è evoluto il dibattito sul tema a livello internazionale nei recenti anni.
Vent’anni fa letta come utopia o provocazione, la decrescita oggi sembra una risposta sempre più valida alle innumerevoli crisi che viviamo: economica, sociale, ecologica. Il dibattito internazionale che si è sviluppato nell’ultimo decennio raggiunge per la prima volta il pubblico italiano con Che cosa è la decrescita oggi (Edizioni Ambiente 2022), di Federico Demaria, docente di Economia e Politiche Ecologiche all’Università di Barcellona, Giorgos Kallis, docente di Economia e Ecologia Politica dell’Università Autonoma di Barcellona, Susan Paulson, antropologa dell’Università della Florida e Giacomo D’Alisa, ricercatore all’Università di Coimbra.
Attraverso dati e ricerche, gli autori mostrano che è proprio il perseguimento della crescita economica infinita come dogma ad averci condotto alle crisi che viviamo, alla distruzione dell’ambiente e dei diritti. Il libro si inoltra nella spiegazione di come giungere a una società che non cresce ma che mette al centro il benessere delle persone attraverso diverse misure, dalla riduzione dell’orario di lavoro, alla finanza pubblica verde ed equa, alla rivendicazione dei beni comuni.
Professor Demaria, gli scritti dei precursori della decrescita risalgono agli ‘anni 70, poi il movimento si è sviluppato molto dagli anni 2000 in avanti. Ancora oggi però sembra che a livello politico sia inconcepibile proporre un’economia stazionaria, cioè che non cresce. Dopo pandemia, guerra e crisi, la mentalità sta cambiando?
Assolutamente sì. Nella primavera del 2023 faremo la seconda conferenza al Parlamento Europeo, dove sarà presente anche Ursula von der Leyen: questo dimostra che è cambiata l’aria che tira. Mentre vent’anni fa sembrava una cosa impossibile da immaginare, ora più passa il tempo più diventa evidente che abbiamo bisogno di un cambiamento radicale nel modo in cui organizziamo la nostra società e la nostra economia.
In Italia si è parlato di decrescita dall’inizio del 2000, ma il pubblico italiano si è perso il vasto dibattito internazionale più recente, che si è sviluppato in Europa sia a livello politico che scientifico. Con questo libro abbiamo voluto colmare questa lacuna.
Nel libro scrivete, a sostegno della decrescita, che “l’evidenza statistica dimostra che i migliori risultati in termini di longevità alfabetizzazione, uguaglianza, sicurezza, partecipazione politica, salute mentale, felicità e riduzione dei tassi di carcerazione di obesità, di omicidio e di suicidio sono correlati non a un Pil più alto ma a una maggiore uguaglianza economica”. Non si potrebbe pensare però che il problema sia la distribuzione ineguale dei benefici della crescita e non la crescita in sé?
A partire dalla Seconda Guerra Mondiale, si è giustificata politicamente la necessità della crescita economica per ridurre le disuguaglianze, cosa che non è necessariamente successa e lo dimostra anche Thomas Picketty. Quello che conta non è la crescita ma le politiche redistributive, infatti ormai la ricchezza è molta, il problema è che non viene redistribuita. Così, negli ultimi 30-40 anni in Italia e nei Paesi europei i benefici della crescita economica sono andati al capitale, non ai lavoratori, perché i salari reali non sono aumentati.
Il nostro argomento però è che possiamo ridurre le disuguaglianze senza bisogno di crescita economica, e che oltretutto essa crea un problema fondamentale rispetto alla sostenibilità ecologica. Più crescita vuol dire infatti più produzione e consumo, e quindi più risorse usate e più inquinamento.
Quindi risolvere solo il problema delle disuguaglianze non ci aiuterebbe di fronte alla questione climatica. Non possiamo semplificare pensando di risolvere una sola questione alla volta, dobbiamo invece affrontare queste molteplici crisi insieme, perché sono parte dello stesso problema.
Nel libro citate la cooperativa di elettricità rinnovabile di Barcellona Som Energia come esempio di fornitore in un contesto di economia comunitaria. Som Energia è stata una fonte di ispirazione per ènostra: che ruolo hanno le realtà cooperative di energia rinnovabile?
Il nostro libro non è solo un’introduzione alla decrescita perché fa un ulteriore passo avanti, cercando di discutere che cosa dovremmo fare per transitare a un nuovo mondo e come. Le barriere e gli ostacoli sono molti, ma abbiamo messo molta enfasi sul fatto che non dobbiamo inventare l’acqua calda: dobbiamo invece costruire su realtà che già esistono. Ad esempio, le cooperative energetiche ènostra e Som Energia rappresentano esperienze importanti perché da anni cercano di costruire un modello ecologico ed economico diverso.
Dobbiamo capire come possiamo cambiare le politiche pubbliche in modo che queste esperienze possano diventare più grandi e più importanti e rispondere alle necessità delle nostre società. Anche la scelta individuale è fondamentale, come ad esempio consumare meno e meglio. Ma rimangono sempre degli ostacoli che richiedono l’intervento delle istituzioni. Questo passaggio di scala alle politiche pubbliche secondo me è possibile a partire dalle esperienze del territorio, che dovrebbero a mio parere essere supportate dalle istituzioni pubbliche ad esempio eliminando i sussidi ai combustibili fossili e trasferendoli alle realtà che mettono la vita al centro del loro lavoro.
Questo è il testo integrale dell’intervista andata in onda a Radio Popolare nella trasmissione Il Giusto Clima
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