I migranti climatici in Italia esistono già: l’intervista a Virginia Della Sala, giornalista d’inchiesta e autrice di “Migrare in casa” (Edizioni Ambiente 2024)
L’Italia è nel cuore del Mediterraneo, hotspot della crisi climatica. Qui il clima si è riscaldato il 20% in più rispetto alla media globale e l’IPCC stima una riduzione delle precipitazioni tra il 4 e il 22% entro la fine del secolo con enormi rischi legati a siccità e desertificazione. Al tempo stesso, quando piove l’acqua è intensa e violenta, come vediamo con le sempre più frequenti alluvioni.
La causa degli eventi estremi è spesso un Mar Mediterraneo troppo caldo, che è ormai in grado di scatenare dei veri e propri uragani, oggi rinominati con il neologismo medicane per il carattere inedito del fenomeno.
Il fatto che un giorno diverse parti del nostro paese non saranno più abitabili a causa della crisi climatica è qualcosa che sta entrando gradualmente a far parte del nostro immaginario comune. Ma il grande merito del libro Migrare in casa (Edizioni Ambiente 2024) di Virginia Della Sala, giornalista d’inchiesta de Il Fatto Quotidiano, è quello di riportarci al presente. Le migrazioni climatiche sono una realtà già oggi in Italia.
Per Il giusto clima, abbiamo intervistato Virginia Della Sala (ascolta l’intervista dal podcast, minuto 36).
Virginia, chi sono i migranti climatici in Italia oggi?
Siamo abituati a pensare ai migranti climatici come a quelle popolazioni dei paesi in via di sviluppo che scappano da disastri naturali, come se fosse un fenomeno lontano da noi. In realtà quello che succede in Italia non è molto diverso. Pensiamo per esempio all’Emilia-Romagna, in cui si sono verificate tre alluvioni nell’arco di 16 mesi, persone costrette a lasciare le proprie case, ad abbandonare le loro aziende e ricominciare tutto da capo.
Si tratta di veri e propri migranti climatici interni, che lasciano tutto e non sanno se potranno tornare. Se si guarda ai numeri del Rapporto Periodico sul Rischio posto alla Popolazione italiana da Frane e Inondazioni del CNR Irpi, ci si accorge che gli sfollati italiani nel 2023 sono stati quasi 50 mila, mentre tra il 2018 e il 2022 erano stati la metà, 18.777. L’aumento vertiginoso degli eventi estremi e del numero di sfollati ad essi legati è impressionante: da qui l’idea del libro.
Nel tuo libro trova molto spazio il fenomeno della subsidenza, di cui non si sente molto parlare. È noto il caso dell’Indonesia che proprio a causa dello sprofondamento di Jakarta è stata costretta a programmare lo spostamento della capitale. Ma è un fenomeno che riguarda tantissime città nel mondo e in Italia, giusto?
Esatto, sentiamo sempre parlare di aumento del livello del mare, ma ci dimentichiamo che c’è anche un altro fattore, ovvero l’abbassamento della superficie terrestre, che nient’altro è che la subsidenza. Questo fenomeno è amplificato dalla presenza dell’uomo per diversi motivi.
Al normale assestamento del suolo si aggiunge l’effetto del consumo delle falde acquifere, sempre maggiore nei contesti urbani sovrappopolati. Inoltre, le città hanno un peso, dato banalmente dai palazzi, dalle infrastrutture, dai grattacieli. A ciò si somma anche il consumo di suolo, che inaridisce il terreno e ne modifica la sua complessità. Ed ecco che si sprofonda.
Si stima che nel mondo entro il 2040 saranno soggetti a fenomeni di subsidenza circa 2,4 milioni di chilometri quadrati di territorio. Ci sono delle stime prudenziali anche per l’Italia che parlano di 42 mila chilometri quadrati che corrispondono a una popolazione di circa 17 milioni di persone.
Tutto questo mentre si continua a consumare suolo: uno dei paradossi che rilevo nel libro è proprio il fatto che di anno in anno aumenta la cementificazione, mentre la popolazione diminuisce e siamo nel bel mezzo di una crisi di natalità.
Venezia è un caso emblematico in questo nel senso, città simbolo del cambiamento climatico e premonitrice del futuro di numerosi altri luoghi del mondo. Secondo te ci insegna qualcosa?
Venezia dovrebbe essere il nostro caso scuola perché racchiude tutti gli effetti del cambiamento climatico: alluvioni, innalzamento delle maree, subsidenza. Sappiamo infatti che Venezia sta sprofondando. Mentre il mare si è alzato di 20 cm negli ultimi cent’anni, Venezia si è abbassata di 15 cm, con una perdita in verticale complessiva di almeno 30 cm. Gli usci di un secolo fa e oltre sono ormai sott’acqua.
Purtroppo il MOSE, che è una barriera artificiale per proteggere Venezia dall’acqua alta, soffre di un’obsolescenza programmata, proprio come i PC e gli smartphone.
Se continuiamo a questo ritmo, tra cinquant’anni il MOSE non sarà più efficace e quindi bisogna cominciare a pensare ad alternative, a come salvare le parti più a rischio della città e magari anche a spostare infrastrutture e popolazioni. Purtroppo invece spesso la discussione si ferma a quanto sia allagata piazza San Marco.
Tra le cose di cui si parla molto in Italia c’è anche il tema delle assicurazioni, a cui dedichi un capitolo del tuo libro. Ne abbiamo parlato di recente con Fausto Tomei in occasione delle alluvioni in Romagna. Cosa pensi del dibattito in corso?
Penso che sia l’altra faccia della medaglia dell’assenza di pianificazione di cui parlavamo per Venezia. Che purtroppo riguarda tutto il paese.
Senza investimenti massicci, costanti e strutturali per mettere in sicurezza del paese, si pensa che si possa risolvere il problema costringendo aziende e poi in futuro anche le famiglie ad assicurarsi contro le catastrofi naturali.
Ma in Italia tra i 2 e gli 8 milioni di persone a seconda del livello di rischio abitano in aree a rischio idrogeologico: stiamo parlando di circa 600 mila edifici e 250 mila aziende. Quale compagnia assicurativa troverebbe vantaggioso assumersi tutto questo rischio?
Bisogna cominciare a guardare in un’altra direzione, anche ragionando su come trasferire le popolazioni dalle zone più a rischio per lasciare spazio alla natura.
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