I detrattori del riscaldamento globale non cercano più di smentire la realtà ma piuttosto di screditare le soluzioni disponibili e le politiche ambientali, con pesanti effetti sugli adolescenti
Negare pubblicamente che il clima si stia scaldando ormai non funziona più. Ma il negazionismo climatico non è affatto morto, ha semplicemente cambiato strategia, cercando di minare la fiducia nelle soluzioni disponibili e nelle politiche climatiche.
Per la prima volta questo cambiamento di strategia narrativa è stato studiato e quantificato: il Center for Countering Digital Hate, organizzazione non profit focalizzata sulla disinformazione, ha analizzato 12 mila video su YouTube pubblicati negli ultimi cinque anni che diffondono idee negazioniste nel report The New Climate Denial arrivando ad interessanti conclusioni.
Nel 2023 il 70% dei video analizzati diffonde quello che la ong chiama il “nuovo negazionismo climatico”: al posto di affermare che il cambiamento climatico è una bufala, i detrattori della scienza del clima diffondono l’idea che “l’energia rinnovabile non funziona” (la cui presenza nei video negli ultimi cinque anni è aumentata del 10,8%), che le politiche climatiche siano dannose (+8,1%), che il movimento climatico sia inaffidabile (+7,8%) e che lo sia anche la scienza del clima (+4,3%).
Oggi solo un terzo dei negazionisti si concentra su strategie che negano la realtà dei fatti, ad esempio sostenendo che il clima si sta raffreddando.
Come mai questa evoluzione?
Secondo Imran Ahmed, fondatore e amministratore delegato di CCDH, il motivo è che “la scienza ha vinto il dibattito sul cambiamento climatico antropogenico”. Con le parole di John Cook, professore dell’Università di Melbourne e del Center for Climate Change Communication, nonché fondatore di Skeptical Science e coautore del presente studio, “Il negazionismo scientifico è diventato indifendibile. Inevitabilmente, gli oppositori dell’azione climatica stanno strategicamente passando a una disinformazione che prende di mira le soluzioni e punta a ritardare le politiche climatiche”.
Già nel 2020 un interessante paper parlava proprio dei “discorsi del ritardo climatico” ed effettuava una meticolosa disamina del fenomeno anche il libro del 2021 del celebre climatologo Michael Mann “La nuova guerra del clima”, che raccontava l’avvento dell’”inattivismo”, ovvero del tentativo di minare l’azione per il clima attraverso strategie di deviazione, ritardo, divisione, disperazione e catastrofismo. Ma è la prima volta che uno studio avalla questa tendenza con un’analisi quantitativa.
Gli effetti della disinformazione
Purtroppo altri dati ci dicono che la disinformazione può avere un effetto molto concreto sulle persone. Due recenti ricerche attestano un aumento preoccupante dello scetticismo da parte dei giovani: un terzo degli adolescenti statunitensi sostiene che le politiche climatiche facciano più male che bene, e la stessa quota di giovani britannici pensa che le preoccupazioni sul clima siano “esagerate”.
Se queste statistiche sembrano delineare un quadro di crescente sfiducia e apatia dei giovani nei confronti della crisi climatica, un’altra ricerca britannica di un paio di anni fa sottolineava al contrario la crescita dell’ecoansia riscontrata negli adolescenti di 10 paesi. Ben il 75% degli intervistati dichiarava di avere paura del futuro e di pensare di non fare figli per questo motivo: qualcosa di molto simile a quella che chiamiamo “rassegnazione climatica“.
Gli studi citati sembrano evidenziare due tendenze opposte nei giovani: il fatalismo a una realtà troppo grave per essere affrontata e la propensione a sminuirne invece la pericolosità. Due tendenze diverse che però provocano lo stesso risultato: spingere appunto all’inattivismo.
E sono proprio le nuove strategie del negazionismo le responsabili della diffusione di questi fenomeni. Peccato che YouTube non le categorizzi nella sua policy come “disinformazione”, perché non negano esplicitamente l’esistenza della crisi climatica. Sui contenuti di negazionismo climatico più esplicito Google (proprietaria di YouTube) aveva promesso un blocco, ma non c’è un reale controllo, tanto che i video di canali notoriamente negazionisti – come Heartland Institute o PragerU – continuano a proliferare, con contenuti che, ad esempio, mettono ancora in dubbio il ruolo della CO2 nel riscaldamento globale. Da questi video YouTube guadagna 13,4 milioni di dollari l’anno.
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