La delusione è diffusa sugli esiti della Cop27 perché non c’è stato alcun avanzamento nell’ambizione dei target climatici e nell’abbandono delle fonti fossili. Il maggiore successo è probabilmente l’istituzione di un fondo dedicato alle perdite e ai danni
All’alba di domenica 20 novembre, con un giorno di ritardo, si è conclusa la COP27 a Sharm El Sheikh, una delle più lunghe della storia. Due gli esiti principali, uno positivo e uno negativo. Dopo trent’anni, è stato finalmente istituito un fondo dedicato al loss and damage, diretto cioè a compensare le perdite e i danni subiti dai Paesi più vulnerabili a causa degli effetti già in corso del cambiamento climatico. Effetti che si verificano con maggiore violenza proprio nei Paesi che storicamente hanno contribuito meno alle emissioni di CO2 e che quindi hanno un credito nei confronti dei Paesi ricchi. La Cop27 però non registra nessun progresso dal punto di vista della riduzione delle emissioni di gas serra e dell’abbandono delle fonti fossili. Siamo ancora fermi.
“Se non limiteremo la crescita della temperatura media globale a 1,5 gradi, non avremo mai abbastanza denaro a disposizione per rispondere alle perdite e ai danni causati dai cambiamenti climatici”, ha affermato Frans Timmermans, vice presidente della Commissione europea: “Avremmo dovuto fare molto di più, e questo vuol dire ridurre le emissioni molto più rapidamente”. La delusione si sente anche nelle parole del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres: “Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questa è una domanda a cui questa Cop non ha risposto. Il pianeta è ancora in rianimazione”.
Fondo per le perdite e i danni
Nel 2009, alla Cop15 di Copenhagen, si era stabilito che le nazioni più ricche avrebbero dovuto stanziare 100 miliardi di dollari all’anno per supportare i Paesi poveri nell’adattamento al cambiamento climatico. Promessa mai mantenuta per i tredici anni successivi. Il maggiore successo della Cop27 è probabilmente il raggiungimento di un accordo per l’istituzione di un fondo dedicato al loss and damage, ispirato all’articolo 8 dell’Accordo di Parigi. Il testo è però ancora generico, si parla di un “fondo di intervento in caso di perdite e danni” ma non si sa ancora quali saranno le regole di funzionamento del nuovo strumento e in che modo, da chi, e a beneficio di quali Paesi verrà finanziato il fondo. Tutti sviluppi che vedremo alla prossima Cop28 del 2023.
Target di decarbonizzazione
Gli esiti della Cop27 sono stati insoddisfacenti dal punto di vista dei target di decarbonizzazione, con nessun progresso nelle ambizioni rispetto all’anno precedente. Ancora nessun accordo per il phase-out dal carbone, ci si limita infatti a chiedere di “accelerare gli sforzi” per la riduzione del suo uso senza sistemi di recupero della CO2. Intanto, secondo l’Emission Gap Report 2022 dell’UNEP andiamo verso un aumento della temperatura media globale di 2,8 gradi.
Nonostante questo la Cop27 ha ribadito l’importanza della soglia degli 1,5 gradi, ripetendo la formula espressa dall’accordo di Parigi: “limitare l’aumento ben al di sotto dei 2 gradi e proseguire gli sforzi per rimanere il più possibile vicini agli 1,5”. L’UE ha annunciato che è pronta a una riduzione delle emissioni al 2030 del 57% rispetto al 1990, un aumento del 2% dell’obiettivo precedentemente fissato.
Finanza
Una proposta importante è stata avanzata dalla prima ministra delle Barbados, Mia Mottley. Supportata anche dalla direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva, ha chiesto di rivedere gli statuti del FMI e della Banca Mondiale per semplificare il finanziamento delle infrastrutture necessarie per adattarsi ai cambiamenti climatici.
Il gruppo dei Paesi più vulnerabili e il G7 hanno annunciato il lancio di un Global Shield (Scudo Globale) contro i rischi climatici per aiutare le nazioni più povere. I Paesi beneficiari per ora sarebbero Bangladesh, Costa Rica, Figi, Ghana, Pakistan, Filippine e Senegal, ma sono stati promessi solo 210 milioni di euro.
Sempre per quanto riguarda il supporto alle nazioni più povere e maggiormente colpite dai cambiamenti climatici, nel corso del G20 a Bali e della Cop27 è stato siglato un nuovo accordo con l’Indonesia che, in cambio di finanziamenti provenienti dal Partenariato per una transizione giusta lanciato durante la Cop26, si impegna a raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e a chiudere le proprie centrali a carbone.
L’Italia
“A Cop27 l’Italia non ha niente da dire sul clima, il ministro Pichetto neppure parla inglese” così titolava l’editoriale di Ferdinando Cotugno del 14 novembre sul quotidiano Domani. Un buon riassunto della partecipazione italiana alla conferenza, che il neo ministro per l’ambiente e la sicurezza energetica Pichetto Fratin ha abbandonato prima della fine e dei momenti cruciali dei negoziati di sabato notte. Intanto, il governo sta lavorando per riprendere le trivellazioni e raddoppiare i gasdotti.
A parte l’unica nota positiva del fondo per le perdite e i danni, gli esiti della Cop27 hanno deluso i più, mostrando ancora una volta “l’onnipresenza dell’influenza del settore delle energie fossili”, come ha affermato Laurence Tubiana, CEO di European Climate Foundation. Alla Cop c’erano circa 636 lobbisti delle fonti fossili, un numero maggiore rispetto alle delegazioni combinate di 15 Paesi africani messi insieme. Senza menzionare gli sponsor, per il 90% legati all’industria dell’oil&gas.
L’anno prossimo, alla Cop28, che probabilmente si terrà a Dubai, c’è un appuntamento molto importante: la prima revisione degli NDCs (Nationally Determined Contributions), gli impegni presi dai Paesi nel 2015 per implementare l’Accordo di Parigi. È prevista una revisione ogni 5 anni a partire dal 2023 e si vedrà quindi a che punto siamo nel percorso di decarbonizzazione e se veramente, come stima l’IEA, possiamo sperare nel picco delle emissioni al 2025.
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