A New York la firma di un trattato per proteggere gli oceani appartenenti ad acque internazionali: limiti alla pesca, alle rotte marittime e all’estrazione mineraria in acque profonde
Gli oceani coprono il 71% della superficie terrestre, sono il più grande serbatoio di CO2 del Pianeta e producono circa la metà dell’ossigeno che respiriamo. Hanno un ruolo essenziale nella mitigazione del cambiamento climatico, eppure la maggior parte (circa il 70%) appartiene ad acque internazionali e non è sottoposta alla giurisdizione di nessuno Stato. È quindi stato un momento cruciale quello che ha visto sabato 4 marzo a New York la firma del Trattato dell’ONU per la protezione dell’alto mare, dopo più di 40 anni dall’ultimo accordo, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del mare del 1982.
Oggetto del trattato sono le acque al di là delle zone economiche esclusive delle nazioni, a oltre 200 miglia dalle coste, e l’obiettivo è favorire il risanamento delle specie marine a rischio istituendo aree protette per il 30% dei mari. In particolare, il trattato prevede che vengano fissati dei limiti al diritto alla pesca, alle rotte marittime e all’attività di esplorazione ed estrazione mineraria in acque profonde, particolarmente dannose per la biodiversità e gli ecosistemi. Inoltre, si stabilisce l’istituzione di una Conferenza delle Parti (COP) che si riunirà periodicamente per monitorare l’implementazione dei provvedimenti e per discutere delle questioni pertinenti.
“Il Trattato per la protezione dell’alto mare è una svolta storica perché per la prima volta si regolamenta lo sfruttamento di un volume che per decenni è stato di nessuno quindi ovviamente alla mercé di tutti“, afferma Valeria Barbi, naturalista esperta di biodiversità ed autrice di Che cosa è la biodiversità oggi (Edizioni Ambiente 2022). “Da tanti definito l’ultimo avamposto della natura selvaggia, si tratta di un ecosistema fragile e molto importante, habitat di specie e ecosistemi unici al mondo, tanto da rappresentare il 95% della biosfera del Pianeta”.
Il nuovo trattato agisce in sinergia con l’Accordo di Montréal pattuito alla COP15 sulla biodiversità lo scorso dicembre, che ha stabilito il target del 30% di aree protette sulla superficie terrestre e marina. Ma la strada è ancora lunga perché ad oggi solo circa il 10% degli oceani è sottoposto ad aree protette. Come per ogni trattato internazionale, ci sono anche delle criticità: “Prima di entrare in vigore dovrà essere ratificato da 60 Paesi e contiene alcune clausole che consentono ai firmatari, in determinate circostanze, di rinunciare all’istituzione di aree marine protette“, spiega Barbi. Fino all’entrata in vigore, le organizzazioni responsabili della regolamentazione delle attività di trasporto, pesca e estrazione continueranno a svolgere queste attività senza dover adottare gli standard di valutazione di impatto ambientale stabiliti dal nuovo accordo.
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