Recenti ricerche mostrano un’accelerazione del riscaldamento degli oceani, che non sappiamo che effetti potrebbe avere sul clima. Molte conseguenze si sono già verificate: il giornalista Alessandro Macina le racconta nel libro Il Polmone Blu
Da tre mesi le temperature degli oceani sono le più calde di sempre. Gli scienziati non sanno ancora se si tratta di un episodio o di una tendenza destinata a durare ma c’è una forte preoccupazione. Anzitutto perché all’impatto del riscaldamento globale si aggiunge ora quello del fenomeno del Niño, corrente che riscalda periodicamente i mari equatoriali del Pacifico, con effetti sul clima globale. Poi perché recenti ricerche scientifiche attestano che il riscaldamento delle acque stia avvenendo a ritmi molto più rapidi del previsto: secondo un paper pubblicato su Nature Communications, anche in scenari a basse emissioni entro il 2030 le estati artiche saranno prive di ghiaccio; uno studio uscito su Nature Climate Change mostra che le temperature sempre più alte della cosiddetta acqua di fondo dell’Oceano Antartico (che solitamente sono tra gli -0,8 e i 2 gradi) stanno provocando un’accelerazione inaudita dello scioglimento dei ghiacci.
In termini di protezione degli oceani, un importante passo avanti è avvenuto con il Trattato per la protezione dell’alto mare, ma l’essere umano conosce solo il 5% dei fondali marini e non sappiamo cosa succederà una volta che gli oceani non saranno più in grado di assorbire il calore che generiamo con le attività antropiche, aiutandoci a mitigarne gli effetti.
Molte delle conseguenze le stiamo già sperimentando da molto tempo, anche se non siamo sempre coscienti che dipendano dai mari. Ce ne ha parlato Alessandro Macina, giornalista RAI di Presa Diretta, autore di Il Polmone Blu (Dedalo Edizioni 2023).
Nel libro dici “Se ci rimane ancora una finestra di tempo per mitigare il nostro impatto sul clima lo dobbiamo proprio al ruolo degli oceani”. Come mai?
Perché gli oceani sono stati finora il nostro migliore alleato nella lotta riscaldamento globale. Forniscono il 50% dell’ossigeno: un respiro su due lo dobbiamo a loro. E grazie alla loro maxi attività di sequestro, hanno assorbito il 30% dei gas serra che abbiamo emesso in atmosfera a partire dalla rivoluzione industriale e il 93% del calore extra prodotto dalle attività umane.
Cosa sta succedendo a Miami, città alla quale dedichi un intero capitolo?
Miami è la città più vulnerabile del mondo all’innalzamento del mare per via della sua struttura fisica e geologica: si appoggia infatti su un’antichissima barriera corallina risalente a qualche milione di anni fa, un substrato poroso dal quale l’acqua sale. Quindi Miami non ha via di scampo all’innalzamento delle acque, non può fare come in Louisiana dove è stato costruito un grandissimo muro per proteggere la città di New Orleans da inondazioni e tempeste, come quelle provocate dall’uragano Katrina. La città sta spendendo tantissimo, centinaia di milioni di dollari, soltanto per alzare i quartieri più bassi di Miami Beach: un investimento colossale che però ha una data di scadenza, come ci raccontano anche nel libro. Lo stesso ufficio di adattamento è ben consapevole che questi lavori saranno sufficienti per i prossimi 15, 20 o al massimo 30 anni. A Miami tu vedi in nuce quello che potrebbe capitare in tantissime altre città costiere del mondo, come il fenomeno della gentrificazione climatica. I terreni più alti, lontani dal mare sono stati finora abitati dalle fasce più povere e da comunità afroamericane e centroamericane, che iniziano ad essere sfrattate dalle loro case che hanno acquistato un valore immobiliare immenso.
Le ondate di freddo sono spesso strumentalizzate dai negazionisti climatici per affermare la falsità del cambiamento climatico. Invece nel libro spieghi che sono diretta conseguenza del riscaldamento che stanno sperimentando i poli, come mai?
Assolutamente sì. Un oceano più caldo è anche più alto, perché l’aumento della temperatura dell’acqua ne aumenta il volume. Ma non solo: acque più calde sciolgono da sotto le calotte polari, accelerando il processo di scioglimento. Sappiamo che l’Artico è il luogo più fragile del Pianeta, dove le temperature aumentano anche di 3-4 volte più velocemente rispetto alla media globale. Questo ha completamente alterato il cosiddetto “vortice polare”, la corrente a getto che una volta manteneva i venti freddi al Polo Nord, mentre ora con le temperature anomale oscilla sempre di più portando a vere e proprie fughe di gelo lontano dai Poli. L’abbiamo sperimentato anche noi in Europa qualche anno fa con le ondate di freddo denominate Burian. Sono diretta conseguenza del cambiamento climatico e di quanto si stanno scaldando il Polo Nord e il Polo Sud.
Il riscaldamento delle acque ha avuto una responsabilità nella tempesta Vaia, che nel 2018 ha abbattuto milioni di alberi nel Triveneto. Come mai?
Perché il Mare Adriatico, sempre più caldo, ha caricato venti di tempesta che si sono abbattuti su Venezia, causando una delle acque alte più importanti della storia. Sui quotidiani era stata data grande attenzione a quest’acqua record ma non era stata messa in relazione con quello che è successo sulle montagne con Vaia. È stata una tempesta mediterranea causata da un mare più caldo, che ha provocato venti di una velocità inaudita, che dopo essere risaliti nella regione Veneto e nel Trentino si sono incuneati in quelle valli e hanno sbattuto sopra i muri di roccia dolomia, ripiombando verso il basso a 200 km/h e abbattendo milioni di alberi. L’ISMAR del CNR l’ha detto: quello che è successo sulle montagne dipendeva da un mare Adriatico troppo caldo e carico di energia.
Intervista di Marianna Usuelli, andata in onda al Giusto Clima, Radio Popolare, il 7 giugno 2023.
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