COP28: non c’è il phase out ma l’accordo è storico
;Considerato che la COP28 si fondava su un enorme conflitto di interessi, il primo Global Stocktake è giunto ad un risultato insperato: si è scritto nero su bianco che è l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili, citandoli per la prima volta in un accordo dell’UNFCCC
Non c’è l’eliminazione (phase out) delle fonti fossili nell’accordo finale stipulato il 13 dicembre alla COP28, ma si parla con un’espressione più blanda di “transitioning away”: un allontanamento per abbandonare petrolio, gas e carbone. Viste le premesse è andata molto bene, perché dopo 28 conferenze delle parti, 28 anni di negoziati, per la prima volta le fonti fossili appaiono nel testo di un accordo dell’UNFCCC.
Qualche elemento di contesto. Il presidente della COP28 Al Jaber è anche il CEO della compagnia petrolifera statale emiratina ADNOC. Secondo la BBC ha approfittato degli incontri preparativi alla conferenza per intrattenere trattative commerciali nel settore dell’oil&gas con 27 paesi. Ha dichiarato in una videoconferenza che non esiste “nessuna scienza” che indichi la necessaria eliminazione dei combustibili fossili. La conferenza era ospitata da un paese in cui il 60% del Pil deriva dalla vendita di greggio. Erano presenti 2456 lobbisti del fossile (il quadruplo dell’anno scorso). In una lettera del 6 dicembre l’OPEC ha chiesto ai suoi membri di rifiutare categoricamente ogni testo finale della COP28 che “prenda di mira le energie fossili al posto delle emissioni”.
Date le circostanze, la COP28 non sarebbe potuta finire meglio. Il primo Global Stocktake, che Al Jaber ha definito un “risultato storico”, invita le parti a contribuire a intraprendere azioni per “allontanarsi dalle fonti fossili nei sistemi energetici in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere l’obiettivo emissioni nette zero al 2050 come indica la scienza”.
Questa, forse la frase più importante dell’accordo, non contiene solo la contestata espressione “transitioning away” che lascia l’amaro in bocca ai 120 paesi – tra cui l’UE – che concordavano con l’inserimento di una più perentoria eliminazione delle fossili nel testo. C’è un’altra novità positiva, che è l’indicazione di accelerare l’azione in questo “decennio critico”: non più solo un vago e lontano obiettivo al 2050.
Bicchieri mezzi vuoti
Oltre alla mancanza del “phase out” delle fonti fossili, il documento assegna ai “combustibili di transizione” “un ruolo nel facilitare la transizione energetica assicurando la sicurezza energetica”. Non si parla di gas, ma questa frase ha tutta l’aria di una concessione alle industrie fossili e a paesi come la Russia. C’è poi il riferimento alla riduzione (phase down) della produzione di carbone “unabated” e quindi il ruolo dato alle tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS), altro regalo all’oil&gas che rischia di ritardare gli sforzi nella mitigazione.
Anche sui sussidi alle fonti fossili la formulazione permette importanti scappatoie visto che prevede l’eliminazione di quelli “inefficienti”, “che non sono diretti a ridurre la povertà energetica o a promuovere la transizione giusta”.
Ultimo grande vuoto lasciato dalla COP28 è la finanza climatica, sulla quale non è stata presa nessuna decisione significativa (eccetto il fondo sul loss and damage).
Se la transizione energetica per i paesi ricchi occidentali non è solo fattibile ma è un’opportunità economica e di miglioramento del benessere delle popolazioni, i paesi poveri – i meno responsabili della crisi climatica – non hanno le risorse per finanziarla e rischiano di subirne solo le conseguenze negative. Il testo dell’accordo riconosce che “il fabbisogno finanziario per l’adattamento dei Paesi in via di sviluppo è stimato in 215-387 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 e che è necessario investire circa 4,3 mila miliardi di dollari all’anno in energia pulita fino al 2030, aumentando poi a 5 mila miliardi di dollari all’anno fino al 2050,” se si vuole rispettare l’obiettivo di raggiungere le emissioni nette zero entro quella data. Ma quali sono i primi paesi a dover mettere a disposizione il proprio capitale? E quali i primi a dover ricevere aiuti?
Bicchieri mezzi pieni
Eppure la COP28 si era aperta con un colpo di scena: l’attivazione del fondo sul loss and damage per compensare le perdite e i danni dei paesi in via di sviluppo, che era stato deciso alla COP27 di Sharm El Sheik e che sarà ospitato dalla Banca Mondiale con i contributi già annunciati di Emirati Arabi Uniti (100 milioni), Germania (100 milioni), Italia (100 milioni), Regno Unito (51 milioni), Giappone (10 milioni) e altri. Si è giunti a 770,6 milioni di dollari a fine COP28 con un contributo degli USA di soli 17,5. Stiamo parlando di meno del 2% del fabbisogno annuale dei Paesi in via di sviluppo, ma è comunque un inizio.
Ma uno degli elementi più positivi del primo Global Stocktake è che le rinnovabili escono come guida indiscussa della transizione, con l’impegno a triplicarne la capacità globale entro il 2030, insieme al raddoppio del tasso annuale globale di miglioramenti nell’efficienza energetica.
C’è poi da sottolineare che per quanto si parli di “combustibili di transizione”, nell’accordo non c’è menzione al gas, grande rischio scongiurato. Pichetto Fratin e Tajani festeggiano il “ruolo chiave”, “strategico” assegnato al nucleare, ma non è chiaro dove abbiano tratto queste conclusioni visto che nel testo ha un ruolo del tutto marginale. Così come quello, seppure presente, delle tecnologie di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica. In conclusione: rinnovabili al primo posto, nucleare, CCS e “combustibili di transizione” a integrazione.
Una canoa piena di buchi
Considerando che ha unito anche i paesi dell’OPEC, l’Arabia Saudita, la Russia, l’Iran, nell’idea di prepararsi a uscire dalle fossili già nei prossimi anni, secondo Italian Climate Network si tratta di un esito “politicamente impensabile fino a due anni fa”.
L’anno prossimo la COP29 si svolgerà a Baku, in Azerbaigian, altro paese basato sul fossile. Qui si dovranno prendere decisioni cruciali sulla finanzia climatica e nel frattempo i paesi dovranno lavorare alla revisione dei loro NDCs (piani nazionali) per il rispetto dell’Accordo di Parigi: l’anno prossimo avremo un primo riscontro degli impatti reali del primo Global Stocktake.
Le COP non portano ad accordi legalmente vincolanti, ma hanno l’enorme valore di riunire tutti i paesi del mondo in un impegno politico. Il cambiamento climatico è un problema globale e quindi non abbiamo alternativa che affrontarlo trovando un accordo tra tutti i paesi. Come ha raccontato Ferdinando Cotugno, giornalista di Domani e autore della newsletter Areale che ha seguito i negoziati da Dubai, “Le parole più esatte arrivano, come sempre, dalle Marshall Island: «Eravamo venuti qui per costruire una canoa, ora ce l’abbiamo, è piena di buchi ma dobbiamo comunque metterla in acqua, perché non abbiamo nessun’altra opzione»”.