Il nuovo libro dell’agronomo ed esperto del suolo Giacomo Sartori racconta com’è cambiata nei secoli la gestione del suolo e l’agricoltura e come si è sviluppato il confronto tra l’agricoltura convenzionale e le forme di agricoltura olistica e biologica.
L’agricoltura è responsabile di un quarto delle emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale e ha un impatto enorme sull’inquinamento da micropolveri dannoso per la salute umana (ne parla un recente studio condotto dall’Università Bocconi, CMCC e Legambiente). Eppure l’essere umano coltiva da 8-12 mila anni: quando l’agricoltura ha cominciato a costituire un problema?
L’agronomo ed esperto del suolo Giacomo Sartori ha di recente pubblicato con Kellerman Editore Coltivare la natura. Cibarsi nutrendo la terra, con una prefazione di Carlo Petrini, fondatore del movimento slow food. Sartori fa un excursus storico per sfatare alcuni miti sull’agricoltura biologica e per evidenziare che quei tipi di agricoltura olistici, che si oppongono a quella industriale perché tengono conto delle interrelazioni tra suolo, biodiversità e clima, si rivelano oggi l’unica via possibile per un futuro sostenibile.
Giacomo Sartori, come nasce l’agricoltura biologica?
È stata spesso presentata come movimento poco serio, invece l’agricoltura biologica emerge dalle migliori scuole agronomiche. Per esempio, in Inghilterra con Albert Howard e in Italia con il grandissimo Alfonso Draghetti (che prima o poi verrà rivalutato). In Germania la corrente olistica nasce in seno all’accademia, tra gli studiosi della zoologia del suolo, che si rendevano conto quanto fosse ricco e complesso. Negli Stati Uniti cresce tra gli organismi governativi, in seguito ai danni provocati dalla terribile Dust Bowl degli anni ‘30, dovuta a pratiche agronomiche troppo impattanti. Si cita spesso Steiner ed effettivamente c’è anche quella componente più spirituale e mistica, però non è assolutamente la sola né la prevalente.
Qual è stato lo scontro tra agricoltura biologica e convenzionale?
Nata nel periodo tra le due guerre, l’agricoltura biologica è stata marginalizzata dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la grande virata chimica. La scienza si è alleata all’agricoltura chimica perché è andata dove la portavano i finanziamenti e questo ha costituito spesso un handicap per l’agricoltura biologica, che spesso è stata accusata di mancanza di scientificità. Invece è un tipo di agricoltura molto più difficile di quella convenzionale, richiede moltissima vigilanza, una osservazione molto attenta, continue riflessioni sulle interrelazioni di quello che si fa e che succede nei campi. Già questi sono atteggiamenti molto vicini allo spirito scientifico, paragonati a quelli del coltivatore convenzionale, che è diventato un alienato esecutore.
Nonostante sia stata osteggiata, l’agricoltura biologica è riuscita a imporsi come bellissima realtà che rispetta l’ambiente. Certo, ha le sue problematicità e i suoi punti deboli, dei quali è importante parlare, ma mi sembra ridicolo enfatizzare solo quelli, senza vedere il resto. Resta un grande risultato, sul quale nessuno anche solo qualche decina di anni fa avrebbe scommesso, le università e gli istituti di ricerca sparavano a zero contro di essa.
“L’ubriacatura chimica. (La scomparsa del letame)” è un paragrafo del suo libro, in cui dice che con l’avvento della chimica sono stati abbandonati due pilastri della rivoluzione agraria. Di cosa si tratta?
Uno dei problemi maggiori dell’agricoltura convenzionale è l’impoverimento dei terreni, dovuto al fatto che preleviamo i semi, i tuberi, i frutti, ma poi non restituiamo al suolo le sostanze organiche asportate. Per quasi un millennio usavamo il letame per restituire la sostanza organica prelevata con i raccolti ed oggi questa funzione non viene svolta, perché i concimi chimici si limitano a fornire gli elementi essenziali per le piante, non la sostanza organica. E questa è fondamentale per la salute e il funzionamento dei suoli, tra le altre cose proprio perché cede elementi minerali in maniera lenta, senza che vadano persi. In questo le nuove tecnologie non possono aiutarci.
Si tratta di un problema molto antico, che avevano già gli agronomi greci e romani. E i modi per venirne a capo non sono molti: i due principali sono gli apporti di letame e l’utilizzo delle leguminose in alternanza ai cereali, che hanno la capacità di arricchire il suolo di azoto. Pratiche abbandonate, perché il letame non viene più utilizzato e c’è inoltre la tendenza a favorire sempre coltivazioni di cereali, che rendono di più in termini monetari.
Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi abbiamo pensato di risolvere tutto con i concimi chimici. Oggi ci accorgiamo che non va bene e dobbiamo ritornare a una visione più ecologica, che vuol dire tener conto di tutti i fattori: un qualsiasi campo coltivato in realtà è una porzione di natura, con tante interrelazioni tra organismi diversi che sono fondamentali per il funzionamento del suolo e per i prodotti che poi otteniamo.
Intervista andata in onda a Il Giusto Clima a Radio Popolare il 21 giugno 2023
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