Partendo da una riflessione sulla tragedia del Ponte Morandi, Anselm Jappe descrive il cemento armato come la “perfetta concretizzazione della logica capitalistica” perché è riuscito a trasformare anche gli edifici in merci
Quando si parla di “obsolescenza programmata”, di solito si hanno in mente oggetti di uso quotidiano: smart phone, elettrodomestici, vestiti… Di certo la prima cosa a cui si pensa non è il cemento armato. Eppure è proprio questo il bersaglio del j’accuse di Anselm Jappe, filosofo tedesco, docente all’Accademia delle Belle Arti di Roma e autore di Cemento. Arma di costruzione di massa (elèuthera 2023), secondo cui questo materiale – ben diverso dal semplice calcestruzzo che usavano gli antichi romani – è la perfetta concretizzazione della logica capitalistica perché, con la sua breve durata e la necessaria costante manutenzione, è stato in grado di trasformare anche gli edifici in merci dall’obsolescenza programmata.
In questa appassionata critica al materiale che ha fatto la storia del ‘900, Jappe sostiene che il cemento armato abbia eliminato l’architettura vernacolare provocando disastrose conseguenze ecologiche. Se per Ispra in Italia perdiamo due metri quadrati di terra al secondo, è anche dovuto al suo predominio, il cui ruolo nell’aumento del consumo di suolo è approfondito nella puntuale postfazione all’edizione italiana del libro, scritta dal direttore di Altreconomia Duccio Facchini.
Professor Jappe, partiamo da una premessa: questo libro non parla di cemento, ma di cemento armato.
Sì, è importante sottolinearlo perché c’è una grande differenza tra cemento e cemento armato. Il cemento – anche detto calcestruzzo – veniva utilizzato già dagli antichi romani: ci hanno costruito ad esempio la cupola del Pantheon, che dopo duemila anni è ancora in perfetto stato. Il cemento armato invece è stato inventato alla fine dell’800 ed è composto da una struttura in acciaio nella quale viene colato il cemento liquido. Soltanto in questa forma ha conquistato il mondo, con grattacieli, dighe, autostrade. Invece il calcestruzzo semplice non viene praticamente mai utilizzato su grande scala.
L’idea del suo saggio nasce dalla tragica caduta del Ponte Morandi nel 2018. Analizzando l’accaduto lei sposta l’attenzione dall’abituale e legittimo discorso sulle responsabilità per fare invece una riflessione sul cemento armato come materiale soggetto ad obsolescenza programmata. Può spiegare meglio?
Il crollo di quel ponte non è dovuto solo all’indiscutibile trascuratezza da parte dei gestori. In realtà un disastro di questo genere potrebbe succedere anche su scala molto più larga con altre costruzioni in cemento armato perché si tratta di un materiale che resiste in buone condizioni soltanto per trent’anni, se non viene regolarmente sorvegliato e riparato.
Il problema è che l’armatura metallica tende ad arrugginire perché l’acqua e l’umidità finiscono per infiltrarsi, provocando un potenziale cedimento delle strutture. Certo non è detto che succeda, ma il pericolo aumenta col passare del tempo. Considerando che molte costruzioni in cemento armato risalgono agli anni ’60 e ’70, l’epoca del cosiddetto brutalismo, avrebbero bisogno di gigantesche misure di manutenzione che però vengono spesso trascurate perché costano troppo.
Dunque con il cemento armato siamo riusciti a trasformare addirittura le case e le altre costruzioni in beni dalla vita breve, come era già successo con l’automobile, con gli elettrodomestici o altre cose che vengono realizzate già con l’idea che ben presto saranno sostituite. Cosa che, se non è buona per i consumatori ed è pessima per l’ambiente, è invece chiaramente ottima per la crescita economica.
Infatti lei descrive il cemento come “il lato concreto dell’astrazione capitalista”. Che cosa significa?
Il cemento è un’anima del capitalismo perché è sempre stato il prodotto centrale di uno dei settori cardine dell’espansione dell’economia di mercato, quello delle costruzioni. Ma il cemento ha anche comportato la quasi scomparsa dell’architettura tradizionale e “vernacolare”, che si adattava molto meglio al suo ambiente. Il cemento invece è un materiale uniforme che esiste in tutto il mondo in modo identico e diffonde una certa monotonia, che però si impone proprio perché è più economica, più facile da realizzare. Dunque questo materiale ha diffuso il modo di vita capitalista proprio come l’hanno fatto ad esempio l’automobile o la coca cola. Infine, ad un livello più concettuale, il cemento è anche una materializzazione di quello che Karl Marx ha chiamato il “lavoro astratto”, cioè il lavoro ridotto a una pura quantità senza qualità specifica.
Come mai ha scelto di concentrare il suo saggio su uno specifico materiale?
Nelle discussioni sull’urbanismo spesso si mette l’accento ad esempio sull’aspetto sociale o spaziale. La specificità dei singoli materiali non è quasi mai stata presa in considerazione, oppure è stata sempre considerata un fatto puramente tecnico. Invece il cemento come materiale spinge inevitabilmente verso certi tipi di uso, trascurandone altri possibili. Non a caso anche nel consumo di suolo il cemento svolge il ruolo principale.
Dunque ho cercato di attaccare il cemento da tutti i punti di vista, mostrando i problemi che crea sul piano tecnico e ambientale, ad esempio l’estrattivismo della sabbia, l’obsolescenza programmata, il problema del non riciclaggio del cemento e infine anche dei danni che ha inflitto ai modi tradizionali di costruire.
Sappiamo che le fonti fossili hanno consentito la crescita economica del dopoguerra ma sono diventate un problema per l’ambiente e per il nostro benessere. Abbiamo anche già trovato una soluzione al problema: le fonti rinnovabili. È possibile fare un parallelismo con il cemento armato? E, in questo caso, quali sono le soluzioni?
Non definirei l’energia rinnovabile come “l’alternativa” o “la soluzione” alle fonti fossili perché il punto non è trovare altre fonti di energia, ma semplicemente consumarne molta meno. Gran parte dell’energia oggi viene sprecata per usi di cui l’umanità potrebbe tranquillamente fare a meno. Questo è il vero problema e la stessa cosa vale per il cemento: si costruisce troppo eppure – almeno in Europa – la popolazione è stabile. Molti edifici rimangono vuoti a causa della speculazione o di altri cattivi usi. Certo, si possono riscoprire i materiali tradizionali, ma la questione essenziale è che bisognerebbe piuttosto sostituire gli edifici esistenti e non aggiungerne di nuovi.
Intervista andata in onda su Radio Popolare nella trasmissione Il giusto clima del 10 gennaio 2024
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