Secondo la maggior parte degli scienziati il continuo surriscaldamento dell’atmosfera porterà a gravi conseguenze per il nutrimento delle popolazioni del pianeta, in particolare per quelle più povere.
I cambiamenti climatici impongono delle sfide significative per la sicurezza alimentare mondiale. Già oggi le popolazioni più povere – molte delle quali vivono di agricoltura, di allevamento e di pesca – sono state le più duramente colpite dall’aumento delle temperature e dalla maggiore frequenza di disastri legati al clima. Allo stesso tempo, la popolazione mondiale è in costante crescita e si prevede raggiungerà i 9,6 miliardi per il 2050, con un incremento di quasi due miliardi per rapporto a oggi. Il tema dell’accesso al cibo (e all’acqua) sarà uno degli aspetti più importanti da affrontare ed è strettamente legato ai cambiamenti climatici in atto.
Un recente studio, pubblicato su One Earth da un team di ricercatori dell’Università di Aalto in Finlandia e dell’Università di Zurigo in Svizzera, spiega in che modo potrà essere influenzata la produzione alimentare globale se le emissioni di gas serra non venissero ridotte drasticamente.
Secondo la ricerca, se non si pongono limiti alle emissioni di CO2, entro la fine del secolo oltre un terzo della superficie agricola mondiale potrebbe non produrre più cibo, perché si troverebbe al di fuori di uno “spazio climatico sicuro” – definito come quell’area in cui avviene attualmente il 95% della produzione agricola, grazie a una combinazione di tre fattori climatici: pioggia, temperatura e aridità. Al contrario, se le emissioni venissero contenute mantenendo l’innalzamento delle temperature entro i 1,5 e i 2 gradi, si avrebbe una perdita di produzione alimentare marginale, che non inciderebbe sui bisogni alimentari del pianeta. Lo studio ha coinvolto 177 paesi: di questi solamente 52 potrebbero rimanere in futuro in una zona climaticamente sicura con l’aumento delle temperature, mentre i restanti, che già oggi sono i più poveri e i più vulnerabili ai cambiamenti causati dalle mutazioni climatiche, si troverebbero in grandi difficoltà. È chiara la correlazione tra povertà e capacità di adattamento, per cui le popolazioni più povere andranno incontro a situazioni ancora peggiori di quelle attuali.
Il problema non è di oggi, già nel 2017 la FAO aveva segnalato un peggioramento delle condizioni per la sicurezza alimentare in varie zone del mondo, legate ai fenomeni locali dovuto al riscaldamento globale. Oltre alle problematiche legate ai terreni coltivabili, le ricerche di questi ultimi anni mettono in evidenza come i cambiamenti climatici determinano il calo del rendimento di grano, mais, riso e soia, con differenze dovute al tipo di coltura, e delle qualità organolettiche di molte specie vegetali utilizzate per la nostra alimentazione.
Infine, ma non secondario, ci potranno essere alcuni aspetti indiretti significativi che potranno peggiorare la situazione, quali ad esempio le speculazioni finanziarie e l’andamento dei prezzi della terra, legati ai valori delle materie prime, i cambiamenti politici e organizzativi delle economie e dei sistemi alimentari, che possono determinare riequilibri dei poteri, e una crescita delle migrazioni dovute alle carestie.
Tutto ciò dovrebbe impegnarci ancora di più a contribuire a contenere le emissioni di CO2 entro i limiti stabiliti dagli accordi di Parigi e fare pressioni sui Governi perché adottino effettive e concrete politiche di lotta ai cambiamenti climatici.
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