La povertà energetica non è solo una questione economica ma anche di salute: 3,2 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie causate dall’uso di combustibili inquinanti.
Ben 675 milioni di persone al mondo (circa l’8%) non hanno ancora accesso all’elettricità e oltre 2,3 miliardi dipendono per cucinare da combustibili nocivi. Lo denuncia un recente report di IEA, IRENA, UNSD e WHO, secondo il quale siamo ancora molto lontani dal raggiungimento dell’obiettivo 7 di sviluppo sostenibile: garantire l’accesso all’energia a prezzo accessibile, affidabile, sostenibile e moderna per tutti.
Le stime mostrano che se non si interverrà per stimolare la diffusione di energia rinnovabile e accessibile nei Paesi a basso e medio reddito, al 2030 ci saranno ancora 660 milioni di persone senza elettricità e 1,9 miliardi faranno ancora uso di combustibili nocivi per la cucina.
La situazione più grave è in Africa Sub-sahariana dove si trova l’80% di coloro che oggi non hanno accesso all’elettricità, e dove il quadro da circa 13 anni è rimasto invariato. Soprattutto in questa parte del mondo la povertà energetica non è solo una questione economica ma anche di salute: l’OMS riporta che 3,2 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie causate dall’uso di combustibili inquinanti (stufe inefficienti, combustibili solidi e kerosene) in ambiente domestico. E le donne sono ancora più esposte, perché spesso sono coloro che maggiormente si occupano della cucina e della legna da ardere, attività che oltretutto le impegnano circa 40 ore a settimana, impedendo loro di poter lavorare e partecipare agli organi decisionali locali.
Per quanto nell’ultimo decennio la situazione globale sia migliorata, con una percentuale di persone con accesso ad elettricità passata dall’84% nel 2010 al 91% nel 2021, il ritmo dei progressi è però rallentato. “La crisi energetica innescata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia continua ad avere un profondo impatto sulle popolazioni di tutto il mondo. I prezzi elevati dell’energia hanno colpito duramente i più vulnerabili, in particolare quelli delle economie in via di sviluppo”, ha commentato Fatih Birol, Direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA).
La diffusione delle rinnovabili a livello globale è aumentata negli ultimi quattro anni passando dal 26,3% al 28,2% dei consumi globali, ma questo ritmo è ancora insufficiente per limitare l’aumento del riscaldamento globale entro il grado e mezzo. Inoltre la crescita della quota è avvenuta soprattutto nei Paesi ricchi: in quelli a medio e basso reddito gli investimenti internazionali pubblici si sono ridotti del 35% rispetto alla media del periodo 2010-2019.
Una diffusione capillare delle rinnovabili non solo ridurrebbe le emissioni di gas a effetto serra, ma avrebbe impatti positivi sulle economie locali e sulla salute delle popolazioni di molte regioni del sud del mondo. E, si legge nel report, sarebbe “cruciale per evitare di investire le scarse risorse finanziarie e fiscali in scelte energetiche inquinanti e insostenibili, che probabilmente si trasformeranno in stranded asset (beni incagliati)”, ovvero in investimenti che, per il loro naturale legame con il mondo dei fossili, sono destinati a perdere valore nei prossimi anni.
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