Aree (non) idonee in Sardegna: l’opposizione alle rinnovabili e il rischio che corre la transizione
;Con il DDL 45 la Sardegna può sperare di arrivare a 6,2 GW di rinnovabili solo con un’esplosione di CER. In ogni caso, in questo modo si prepara alla metanizzazione. L’intervista a Tommaso Barbetti di Elemens
L’intero territorio della Sardegna è “non idoneo” all’installazione di impianti rinnovabili. Si vede bene dalla mappa che ha tracciato la società di consulenza e analisi Elemens sulla base di quanto stabilito dal DDL 45, il disegno di legge presentato dalla giunta regionale.
“Le aree idonee all’installazione di impianti rinnovabili sono circa l’1% e le aree non idonee sono il 100%. Non c’è un errore in quello che ho detto: semplicemente ci sono alcune aree che risultano sia idonee che non idonee e, in questo caso, la legge prevede che prevalga l’inidoneità”, spiega Tommaso Barbetti, analista e cofounder di Elemens, commentando quanto emerso dall’analisi condotta.
Inidoneità che vale non solo per tutti i nuovi progetti che devono ancora essere presentati ma, prosegue Barbetti, “è retroattiva, quindi vale anche per i progetti che hanno già chiesto l’autorizzazione unica e, addirittura, per quelli che l’hanno già ottenuta”. Si salvano gli impianti che hanno già iniziato la costruzione e che sono ad oltre il 20% della realizzazione, che sono in totale circa una quindicina.
Prima dell’estate la presidente sarda Todde aveva fatto approvare una moratoria alla realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici a terra per porre un freno alla cosiddetta speculazione energetica.
In seguito all’emanazione del decreto ministeriale sulle aree idonee di quest’estate, che lascia grande libertà alle regioni nell’identificare queste zone, a settembre la giunta regionale sarda ha presentato il DDL 45, che dovrà poi essere approvato dal consiglio.
Che fine fa il target di 6,2 GW al 2030?
Ad oggi la Sardegna conta poco più di 2 GW installati sul suo territorio. È legittimo chiedersi, a questo punto, se è ancora possibile che la Sardegna raggiunga l’obiettivo di 6,2 GW di rinnovabili al 2030 previsto dal decreto ministeriale. Secondo Barbetti, “con le attuali norme è impossibile, a meno che non si verifichi un’esplosione dei numeri delle installazioni di impianti su tetto e per le comunità energetiche”.
Ma è bene ricordare che il decreto Cacer emanato a gennaio 2024 ha fissato un massimale di energia incentivabile per tutta Italia a 5 GW di potenza, che sarebbe comunque meno di quanto dovrebbe fare la Sardegna da sola entro il 2030.
In altre parole, se il DDL 45 diventasse legge, l’unico modo per la Sardegna di rispettare i suoi target di decarbonizzazione sarebbe installare con le CER tutta la potenza che il decreto Cacer ha stabilito come incentivabile entro il 2027 in tutta Italia.
E, tutto ciò, in un contesto di sviluppo delle CER caratterizzato da forte inerzia, visto che il GSE ha comunicato di recente che registra ad oggi 50 MW di richieste, ovvero l’1% di quello che dovremmo fare da qui al 2027.
L’impronta carbonica dell’isola
Oggi il 75% dell’energia prodotta nell’isola viene da fonti fossili. La Sardegna è la Regione italiana con le più alte emissioni pro-capite ed è anche l’unica in cui la chiusura delle centrali a carbone, prevista per il 2025 in tutta Italia, è stata rimandata al 2028.
Dopo la Puglia e la Sicilia, la Sardegna è la terza Regione italiana per numero di richieste di connessione di nuovi impianti rinnovabili a Terna. Queste 800 richieste corrisponderebbero, se realizzate, a 50 GW di potenza.
Ma questo numero è infinitamente lontano da quello degli impianti che verranno davvero autorizzati, che è normalmente una minoranza del totale. Non solo: “se anche venissero autorizzati impianti per più di 6 GW, cosa del tutto improbabile, non verrebbero comunque realizzati perché non sarebbero remunerativi”, spiega Barbetti, “Se il governo fissa il target a 6,2 GW significa che gli strumenti di regolazione con cui si sosterrà la vendita dell’energia rinnovabile non consentiranno di realizzarne di più. Oltre i 6 GW di potenza, ulteriori impianti nascerebbero già in perdita”.
Il veto nel raggio dei 7 km dai beni tutelati
Il decreto ministeriale sulle aree idonee emanato quest’estate lascia una grande libertà alle Regioni di tracciare il perimetro di queste zone. Le Regioni possono vietare la realizzazione di rinnovabili entro un raggio di 7 km da ogni bene tutelato. “I beni tutelati non sono solo edifici storici o monumenti, ma anche alberi monumentali e tratturi, per fare due tra i tantissimi esempi possibili”, precisa Barbetti. “Abbiamo calcolato che se tutte le Regioni italiane vietassero, come ha fatto la Sardegna, l’installazione di rinnovabili nei 7 km attorno a ogni bene tutelato presente nel nostro paese, quasi il 100% del territorio italiano sarebbe inadatto all’installazione di fotovoltaico e eolico”.
Paragoni fuorvianti tra turbine eoliche e monumenti
E cosa dire di quei casi in cui l’altezza delle turbine eoliche in progettazione viene paragonata a edifici storici o monti per evidenziarne la grandezza “mostruosa” e la loro incompatibilità col territorio?
Secondo Barbetti, “Non ha senso fare paragoni di questo genere perché quando un progetto eolico viene autorizzato significa che ha superato una lunghissima e severa procedura, che è passata al vaglio delle sovrintendenze e del Ministero della cultura, enti che sposano un concetto di tutela del paesaggio che definire conservativo è poco”. Insomma, la possibilità che non vengano tutelati il paesaggio e l’eredità culturale per Barbetti è minima. “È chiaro che 200 metri di altezza sono tanti anche per una turbina eolica, ma vanno contestualizzati: non sono in piazza del Duomo a Orvieto, ma sono in un contesto in cui sono stati autorizzati a seguito di una valutazione a cui hanno partecipato decine di enti alcuni dei quali straordinariamente rigidi nel concedere questo tipo di autorizzazione.
Strada spianata per la metanizzazione
“Se fino all’anno scorso ci si lamentava della bassissima percentuale di autorizzazioni sul totale delle richieste di installazione di rinnovabili e della lentezza della burocrazia, adesso improvvisamente sembra che le compagnie energetiche possano installare nuovi impianti senza alcun tipo di valutazione”, conclude Barbetti, “Oltre al raggio di 7 km dai beni tutelati, vengono condotte valutazioni degli impatti visivi, acustici, archeologici, urbanistici e molto altro. E questo è il motivo per il quale i progetti autorizzati sono così rari”.
Intanto Snam ha presentato qualche settimana fa al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica il progetto di cui si discute da anni che mira ad attraccare permanentemente una nave gasiera lunga 292 metri a Porto Torres per distribuire GNL in tutta l’isola. Insomma, metanizzare l’isola. Che, purtroppo, è anche la conseguenza più ovvia e rapida all’opposizione alle rinnovabili.
L’intervista a Tommaso Barbetti è andata in onda a Il Giusto Clima su Radio Popolare, nella puntata del 13 novembre, disponibile qui.