Nella prima consultazione popolare richiesta da cittadine e cittadini in Ecuador, osteggiata dal governo, il 59% della popolazione ha votato contro lo sfruttamento di un grande giacimento petrolifero nella foresta amazzonica.
Quella di domenica 20 agosto è una decisiva vittoria democratica contro l’industria dei combustibili fossili: ben 5,4 milioni di persone, il 59% della popolazione ecuadoriana, hanno votato contro l’estrazione petrolifera nel Parco Nazionale Yasuní nella foresta amazzonica.
Svoltosi in contemporanea alle elezioni presidenziali, il primo referendum richiesto da cittadine e cittadini ecuadoriani ha mostrato la netta volontà di proteggere una delle aree con maggiore biodiversità al mondo. Sono 162 mila ettari all’interno del Parco Nazionale Yasuní, nel quale si stima ci siano più specie animali che in tutta Europa e più specie vegetali dell’intero Nord America.
L’esito del referendum, ampiamente osteggiato dal governo che sosteneva invece l’estrazione del giacimento, costringerà Petroecuador, la compagnia petrolifera statale, a smantellare le operazioni di 12 piattaforme di perforazione e 225 pozzi che producono fino a 57 mila barili al giorno.
Nel 2006 venne scoperta questa grande riserva di petrolio e ben presto iniziò la battaglia locale contro lo sfruttamento estrattivo di questa zona. L’allora presidente Rafael Correa aveva dichiarato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che avrebbe rinunciato alle risorse di questa zona se la comunità internazionale avesse ripagato l’Ecuador con 3,6 miliardi di dollari, circa la metà del valore stimato del giacimento. La proposta non venne mai accolta e l’area, che corrisponde a circa lo 0,01% di tutto il parco nazionale ma è abitata da popolazioni indigene (Waorani, Tagaeri e Taromenane), venne occupata per le estrazioni a partire dal 2016.
Il governo è sempre stato contrario al referendum per motivi economici: la compagnia statale Petroecuador ha stimato che avrebbe perso 13,8 miliardi di dollari in 20 anni a causa del blocco delle estrazioni. Yasunidos, il principale gruppo ambientalista promotore del referendum, è riuscito a convincere gli ecuadoriani che il voto contrario, oltre a tutelare l’ambiente, avrebbe anche fatto risparmiare nel lungo termine al loro paese, perché ridurrà i danni ecologici e climatici. Ha inoltre proposto di stimolare una nuova economia nella zona, promuovendo un turismo sostenibile a tutela della biodiversità.
Il successo di questa battaglia sarà fonte di ispirazione per gli attivisti per il clima in tutto il mondo. Oltre a dare un segnale di speranza contro l’estrattivismo predatorio, nel primo paese al mondo a riconoscere i diritti della natura e degli animali nella sua Costituzione, secondo un editoriale del Guardian sarà anche un monito per gli altri governi sulle enormi, dannose e inutili spese causate dallo sfruttamento dei combustibili fossili in un’epoca in cui investimenti di questo tipo sono anacronistici oltre che follemente pericolosi: “probabilmente la lezione più importante del referendum è per gli altri governi”, scrive Jonathan Watts, “che hanno appena ricevuto un esempio lampante del costo delle attività incagliate quando il mandato sociale per i combustibili fossili viene improvvisamente rimosso”.
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