A partire dal nostro fabbisogno, dalle fonti utilizzate e dalla loro provenienza, uno studio di Italy for Climate mostra come rinnovabili ed efficienza energetica potrebbero ridurre la nostra dipendenza da combustibili fossili importati dall’estero
Con la guerra tra Russia e Ucraina siamo diventati oggi tutti (o quasi) scienziati geoeconomici esperti nelle politiche legate all’energia. Ma quanto ne sappiamo davvero sull’energia? Probabilmente poco tanto che fino ad oggi il tema, quando trattato, era raramente capito fino in fondo: nessuno di noi ha mai pensato all’energia come ad un tema così strategico per il nostro Paese e a quanto, attraverso le fonti energetiche, fossimo connessi e dipendenti dal resto del mondo. La “Roadmap italiana per la neutralità climatica” elaborata da Italy for Climate cerca di ricostruire, in modo chiaro e preciso, il quadro energetico italiano attuale.
Che energia consuma l’Italia? La cosa che dobbiamo subito dire è che il nostro Paese consuma soprattutto gas: è la nostra prima fonte, pari al 39 per cento del nostro mix energetico, superando da alcuni anni il petrolio (oggi al 35 per cento). Fortunatamente, anche le rinnovabili sono cresciute arrivando al 19 per cento nonostante rimangano solo un quinto circa del fabbisogno energetico nazionale. Rinnovabili e gas sono dunque, di fatto, le principali fonti energetiche italiane.
Da dove vengono i combustibili fossili consumati in Italia? A differenza delle rinnovabili e ad una parte residuale di gas e petrolio estratti in Italia, la maggior parte del nostro fabbisogno energetico viene soddisfatto con il contributo di altri Paesi da cui importiamo petrolio, gas e carbone. Dipendiamo dall’estero per ben il 77% dell’energia che consumiamo: non una buona notizia soprattutto visto che viviamo in una terra baciata dal sole, percorsa dai venti, bagnata dal mare, ricca di acqua dolce… ricca insomma di fonti di energia pulita sfruttabili attraverso tecnologie oramai mature che potrebbero sostenere una maggior quota dei nostri consumi.
Rispetto ai combustibili fossili, solo il 5 per cento circa arriva dal nostro sottosuolo: nel 2021, il gas estratto in Italia è stato il 4 per cento del consumo nazionale mentre il petrolio il 7 per cento. Il rimanente 95 per cento delle nostre fonti energetiche proveniente soprattutto dalla Russia (25%), dall’Algeria (15 per cento), Azerbaijan (13 per cento) e Libia (9 per cento); l’ultimo 33 per cento arriva principalmente da Iraq, Quatar, Arabia Saudita, Stati Uniti e Nigeria.
Non da tutti i Paesi importiamo le stesse fonti fossili: dall’Algeria compriamo soprattutto gas, da Azerbaijan e Libia principalmente petrolio. La Russia è l’unico Paese da cui importiamo diversi prodotti energetici: è il nostro primo fornitore di carbone e gas, il terzo per il petrolio.
Il carbone è l’unica fonte fossile che viene completamente importata: 9,6 milioni di tonnellate che arrivano quasi esclusivamente da Russia e Usa. Fortunatamente – visto che stiamo parlando del combustibile fossile più inquinante al mondo – il nostro Paese è anche quello che, rispetto alla media europea, ne impiega in misura minore. Leggendo questi dati è evidente la forza della nostra dipendenza energetica con l’estero. Come sta succedendo in questo momento, azzardi o cambiamenti che avvengono sulla scena internazionale possono mettere a dura prova la nostra economia e la nostra vita facendo leva sull’energia. Tutti auspichiamo la necessità di ridurre questo legame a doppio taglio con l’estero: ma è possibile? E come?
Il ministero dello Sviluppo Economico ha fornito l’ultima stima sulle riserve italiane di combustibili fossili il 31 dicembre 2019. Secondo questa fonte, nel nostro Paese, le riserve accertate di gas sono pari a 46 miliardi di metri cubi e quelle di petrolio a 73 milioni di tonnellate, numeri che potrebbero arrivare rispettivamente a 112 miliardi di metri cubi e 207 milioni di tonnellate se nel conteggio venissero incluse anche le riserve classificate come probabili e possibili. Quanto potremmo andare avanti utilizzando queste riserve? Dando fondo a tutte le riserve accertate di gas e di greggio si arriverebbe a mala pena a toccare i 7-16 mesi e gli 11-30 mesi conteggiando anche quelle non certe. Possiamo dormire sonni tranquilli? Beh, non molto…
E quindi? Che fare? Le nostre case, le nostre aziende e tutte le attività sul territorio potrebbero essere salvate proprio dalla grande bellezza del nostro Paese, investendo nelle rinnovabili e progettando interventi adeguati rispettosi del paesaggio, del patrimonio storico e culturale italiano. Solo negli ultimi trent’anni, grazie alle rinnovabili, la dipendenza energetica dall’estero dell’Italia si è ridotta di circa 10 punti percentuali. Questa riduzione si è verificata tutta fra il 2008 e il 2014, nel periodo di massima crescita delle fonti rinnovabili, quando c’è stato il raddoppio della produzione nazionale di energia pulita.
Ma una crescita come questa è replicabile? Sicuramente sì secondo Italy for Climate. Se il nostro Paese prendesse seriamente in considerazione il target europeo di riduzione delle emissioni di gas serra, investendo su energie rinnovabili ed efficienza energetica, in meno di dieci anni, nel 2030, potrebbe arrivare a soddisfare la sua fame di energia con risorse interne, abbassando la quota della nostra dipendenza energetica dall’estero dal 77 per cento attuale ad un più accettabile 46 per cento. Investire sulla transizione energetica è una strada obbligata.
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