Tra 2010 e 2019 le emissioni sono aumentate come in nessun decennio precedente. Bisogna raggiungere il picco entro due anni per non oltrepassare la soglia del grado e mezzo. La buona notizia è che non bisogna inventarsi nulla: le tecnologie e i capitali ci sono, vanno solo impiegati nella giusta maniera.
Agire ora, prima che sia troppo tardi, è il monito degli scienziati dell’IPCC, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, che il 20 marzo 2023 ha pubblicato il Rapporto di Sintesi: una guida per i decisori politici di 36 pagine, che fornisce un quadro sinottico della più aggiornata scienza globale del clima e delle soluzioni da adottare.
Si tratta dell’ultima valutazione effettuata prima che il mondo abbia ancora la possibilità di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi (il prossimo rapporto dell’IPCC infatti verrà pubblicato tra circa 8 anni). Questa sintesi riassume il Sesto Rapporto di Valutazione, pubblicato in tre parti tra il 2021 e il 2022, frutto del lavoro di più di 300 scienziati e oltre 15 mila ricerche analizzate.
Il clima è già cambiato ma può cambiare ancora moltissimo se non agiamo
Le emissioni stanno continuando a crescere in tutti i settori e non sono mai aumentate così tanto come nel decennio tra il 2010 e il 2019. Oggi ci troviamo ad un aumento di 1,1 gradi rispetto ai livelli preindustriali e se proseguiamo così raggiungeremo i 2,8 gradi entro la fine del secolo, superando la fatidica soglia dei 1,5 gradi intorno al 2030. Tra le conseguenze: maggiore frequenza di eventi estremi, siccità, insicurezza alimentare, a cui potrebbero assistere anche i nati dopo il 1980 e sicuramente i bambini di oggi.
Il clima è già cambiato, infatti l’ultimo decennio è stato il più caldo degli ultimi 125 mila anni e già oggi 3 miliardi di persone vivono in aree “altamente vulnerabili” con scarsa disponibilità di acqua. Ma per l’IPCC è ancora possibile stabilizzare la temperatura senza superare il grado e mezzo: per fermare ogni ulteriore aumento è necessario raggiungere lo zero netto entro il 2050, toccando il picco delle emissioni entro il 2025 (tra due anni!). Le emissioni di gas serra vanno ridotte del 43% entro il 2030, compreso il metano, che deve essere tagliato del 34% entro la fine del decennio.
Lo sforzo è enorme e non è detto che riusciremo ma, sottolinea Elena Verdolini, scienziata italiana che ha lavorato al documento, “il rischio di focalizzarci sul grado e mezzo è che si perda la volontà di agire, rassegnandosi all’idea di non essere in grado di raggiungere questo obiettivo. Ogni riduzione dell’aumento della temperatura è invece cruciale, anche se questa soglia verrà superata” perché eviterà ulteriori estinzioni, aumenti di eventi estremi e effetti gravissimi sui nostri territori.
Il Mediterraneo subisce conseguenze più gravi del resto del mondo
Il Mediterraneo è un hot spot del cambiamento climatico: qui il riscaldamento registrato è già di 1,5 gradi e d’estate sarà del 50% in più rispetto alla media globale. Quest’area è destinata a perdere oltre la metà delle sue piante e insetti se proseguiamo verso un aumento di 3 gradi.
Impressionante è la situazione dei ghiacciai alpini che, nella migliore delle ipotesi, potranno mantenere il 30% del loro volume. Ma se continuiamo a questo ritmo sono destinati a scomparire completamente entro la fine del secolo senza lasciare traccia.
Ondate di calore, siccità, rischi sulla produzione agricola, innalzamento del livello del mare e incendi sono i maggiori rischi per l’area mediterranea che, a differenza del resto del mondo, sarà caratterizzata da una riduzione drastica delle precipitazioni, diventando una zona arida.
Le maree molto deboli che hanno sempre caratterizzato il Mediterraneo hanno spinto nei secoli a insediamenti molto popolosi sulla costa, che ora saranno a forte rischio per l’innalzamento del livello del mare, in Italia soprattutto sulla costa adriatica.
Ma possiamo ancora invertire la rotta
Il messaggio più importante del Rapporto di Sintesi è che le soluzioni da adottare per ridurre le emissioni non devono essere inventate: esistono già. L’IPCC si riferisce in particolare alle rinnovabili, sulle quali si dovrebbe investire dalle 3 alle 6 volte in più. E non è vero neanche che manca la capacità economica per affrontare l’enorme sfida: i capitali ci sono ma vanno reindirizzati verso le tecnologie verdi. Tra il 2019 e il 2020, a livello mondiale, l’investimento nei combustibili fossili è stato maggiore di quello per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici quando invece l’utilizzo globale di carbone, petrolio e gas va ridotto rispettivamente del 100, 60 e 70% entro il 2050.
Al nucleare e alle tecnologie CCS (cattura e stoccaggio della CO2) l’IPCC attribuisce un ruolo marginale nel contributo alla neutralità climatica. Questo perché le stime sul loro sviluppo ipotizzate negli scorsi anni sono state disattese, con crescite molto più lente del previsto, e quindi riviste sulla base dei dati reali. Le rinnovabili invece sono alla guida della transizione, con costi di solare ed eolico già oggi dell’85% e del 55% più bassi rispetto a dieci anni fa.
Gli impegni presi dai governi
Per monitorare l’implementazione degli impegni presi dai Paesi con l’Accordo di Parigi nel 2015 quest’anno ci sarà il primo Global Stocktake alla COP28 di novembre 2023: un controllo quinquennale di cui la Sintesi per i Decisori Politici appena pubblicata detta le linee guida. In vista di questo primo appuntamento, entro giugno 2023 gli Stati Membri devono inviare alla Commissione Europea l’aggiornamento del proprio Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che costituisce la strategia per l’implementazione dell’Accordo di Parigi su base nazionale.
Le premesse per l’Italia al momento non sono delle migliori: oltre alle ambizioni di diventare hub del gas nel Mediterraneo e di realizzare nuovi rigassificatori, proprio in questi giorni il governo e la sua agenzia di credito all’esportazione SACE – prima in Europa tra i finanziatori pubblici dell’industria fossile – si sono rimangiati gli impegni presi alla COP26: continueranno a finanziare progetti di carbone, petrolio e gas all’estero almeno fino al 2028.
Marianna Usuelli
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